Maestra improvvisa una lezione di educazione sessuale a scuola: licenziata. Cassazione: «Legittimo»

Per i giudici la decisione andava concordata con le famiglie degli alunni e con i colleghi

Maestra improvvisa una lezione di educazione sessuale a scuola: licenziata. Cassazione: «Legittimo»
Maestra improvvisa una lezione di educazione sessuale a scuola: licenziata. Cassazione: «Legittimo»
di Valentina Errante
Venerdì 3 Maggio 2024, 00:44 - Ultimo agg. 4 Maggio, 09:54
4 Minuti di Lettura

Una lezione di educazione sessuale non concordata e improvvisata da una supplente, nell’ultima classe della scuola primaria, può costare il licenziamento per giusta causa alla maestra. È accaduto in una scuola di Cesena e adesso la sezione Lavoro della Cassazione ha confermato la sentenza di secondo grado, impugnata invano dalla donna, dando ragione al ministero dell’Istruzione che aveva liquidato l’insegnante. La supplente, che prestava servizio in un istituto di Cesena, si era prima opposta alla decisione del ministero ma, sia in primo che in secondo grado, i giudici (Tribunale di Forlì e Corte d’Appello di Bologna) le avevano dato torto, sostenendo che avesse affrontato il tema delicato, senza confrontarsi con i colleghi e provocando turbamento nei bambini. Il disagio manifestato dai piccoli alunni era stato notato anche da un’altra maestra che si era rivolta alla dirigente scolastica. Poi a protestare con la preside erano stati gli stessi genitori. La donna, convocata, aveva difeso il suo operato, ma non aveva convinto.

LA VICENDA
Secondo le sentenze di merito, si legge nel provvedimento, la maestra si era «addentrata in una tematica delicata, quella degli argomenti legati alla sessualità ed alla procreazione, all’esito di un contesto inappropriato (la lite tra due bambini, con uso da parte loro di parole forti, anche di ambito sessuale o corporale), senza “pianificazione o coordinamento con le altre maestre” , in una classe in cui aveva iniziato ad insegnare da poco, con l’effetto ultimo di provocare turbamento negli alunni, immediatamente manifestato all’uscita da scuola con i genitori».

E così il nome della docente è anche stato cancellato dalle graduatorie.

IL LICENZIAMENTO
Il licenziamento dell’insegnante era stato deciso all’esito di un colloquio tra la maestra e la dirigente scolastica dal quale era emersa, si legge nel provvedimento, «l’adozione da parte dell’insegnante, dopo pochi giorni dalla presa di servizio, di comportamenti inappropriati, in quanto aveva affrontato in classe argomenti legati alla sessualità ed alla procreazione senza alcuna pianificazione o coordinamento con le altre colleghe ed in un contesto inadatto, il tutto con l’effetto di provocare grave turbamento e disagio negli alunni, come riscontrato sia dai genitori all’uscita da scuola, sia da altra insegnante, chiamata dagli stessi bambini nell’immediatezza del fatto». Agli atti sono finiti i verbali del colloquio tra la preside e i genitori degli alunni; tra la dirigente e l’altra maestra chiamata dai bambini; e quello tra la preside e la maestra finita sotto accusa.

LE MOTIVAZIONI
Non hanno convinto i motivi del ricorso presentato dalla maestra licenziata che smentiva la ricostruzione emersa negli altri due gradi di giudizio. Spiega la Cassazione: il giudice di merito «ha considerato cautelativamente anche l’ipotesi che in qualche misura i bambini avessero “ingigantito”, per concluderne che comunque si era trattato di iniziative dell’insegnante del tutto inappropriate, stante la mancanza di pianificazioni e coordinamento con le altre insegnanti e con modalità che avevano generato comunque turbamento dei bambini». E aggiungono: «Tale ragionamento, espressivo del convincimento giudiziale, è intrinsecamente logico e ponderato e non lascia dunque adito a margini di sorta», perché, spiegano, il ricorso per Cassazione non può riguardare il valore e o il significato attribuiti dal giudice agli elementi valutati «risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di legittimità».

© RIPRODUZIONE RISERVATA