Napoli in lockdown, la crisi dei baretti: «Noi costretti a dimetterci senza cassa integrazione»

Locale in via Bisignano
Locale in via Bisignano
di Emma Onorato
Sabato 13 Marzo 2021, 21:42 - Ultimo agg. 14 Marzo, 00:02
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Ormai è un anno che si susseguono provvedimenti per contenere l'emergenza legata al coronavirus, un'emergenza sanitaria che continua a danneggiare diversi settori. A Napoli, tra i più colpiti, ritroviamo quello della ristorazione.

Luca Di Martino, titolare di due ristoranti ubicati in via Bisignano, racconta la situazione che sta vivendo. Sono cinque anni che lavora presso il Bisi Drink Food Happiness e il Bi-Lateral: nel 2020 ha registrato una perdita superiore al 50%. «Con le varie restrizioni e l'andamento a singhiozzo legato al continuo cambio di colore della regione, il nostro lavoro si è ridotto al 30%. La nostra attività era principalmente serale - spiega Luca - in più c'è da aggiungere che in via Bisignano non siamo riusciti ad ottenere nemmeno l'ampliamento della superficie di suolo pubblico: un'ulteriore penalizzazione che ci ha impedito di lavorare all'aperto anche di giorno. Senza tavoli all'aperto chi verrebbe a mangiare in un posto improntato come night?». 

Alcuni suoi dipendenti non hanno ancora ricevuto la cassa integrazione: «A ottobre 2020 decidemmo di chiudere: abbiamo anticipato la cassa integrazione - racconta Luca - sia per il mese di ottobre che di novembre; così facendo abbiamo finito le finanze. Ma la cassa integrazione ci verrà restituita dallo Stato come credito d'imposta: un movimento, una scelta, che non condivido; ci siamo esposti finanziariamente per anticiparla ai dipendenti, ma lo Stato risponderà con il credito d'imposta; quindi non ci verrà restituita l'intera somma che abbiamo anticipato.

I dipendenti, da ottobre 2020 ad oggi, non hanno ricevuto niente: sono disperati, non hanno alcuna entrata che garantisca loro un piatto a tavola».

Nonostante il blocco dei licenziamenti imposto dal governo, alcuni dipendenti gli hanno chiesto il licenziamento pur di ricevere la disoccupazione e il tfr; Luca non riesce a sostenere tale spesa, il licenziamento accordato ha un costo elevato: la tassa del licenziamento varia da dipendente a dipendente e si stabilisce in base agli anni di anzianità del lavoratore. «Ormai sono sei mesi che siamo chiusi. Alcuni dipendenti pur di ricevere il tfr si sono dimessi, ben consapevoli di perdere sia la cassa integrazione che la disoccupazione» conclude Di Martino. 

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«Noi abbiamo chiuso il 18 ottobre 2020 - specifica Luca - poi a metà febbraio 2021 abbiamo aperto solo a pranzo fino a quando non siamo diventati arancioni». Di Martino racconta che non riusciva a lavorare serenamente, c'erano pattuglie della polizia fuori al locale con agenti pronti ad intervenire per sanzionare i clienti in caso di assembramento: «L'alta tensione, e il clima poco sereno, non ha di certo favorito il nostro lavoro - Luca aggiunge - questa gestione che si basa sulle fasce di colori, non aiuta nessuno: i contagi sono aumentati, ci troviamo nel pieno della terza ondata, e anche l'economia ne risente. Le attività commerciali pian piano stanno morendo».

Luca vorrebbe che la sua categoria fosse tutelata con una politica di sostegno diversa da quella attuale: «Un locale che prima faceva cento coperti ora non ne può fare più di trenta quindi è matematico che, anche se riapriamo tutto il giorno, lo Stato deve sostenerci. Si parla molto del decreto sostegno, ma noi non abbiamo bisogno di ristori in base alla perdita subita, noi abbiamo bisogno che lo stato ci sostenga nelle spese fisse, ovvero nelle utenze: io pago 800 euro di spese fisse al mese pur restando chiuso; ci tengo a precisare che il consumo è pari a zero - Di Martino aggiunge - Noi paghiamo dei fitti altissimi, ma se lo Stato non può intervenire nei contratti tra privati per far abbassare i costi, almeno ci dia un aiuto: si impegni a pagare il 50% dei fitti». Infine Luca dichiara: «Va bene il sacrificio che stiamo facendo, ma non deve essere un sacrificio vano: il nostro settore insieme a quello dell'intrattenimento e il turismo è tra i più colpiti. Chiediamo una scelta responsabile, chiediamo di essere tutelati nel presente e in prospettiva del futuro che investe le nostre attività, non vogliamo più oscillare dietro all'apri e il chiudi delle attività, anche perché non ci sentiamo responsabili dell'aumento dei contagi: siamo chiusi da mesi e, nonostante questo, ci troviamo nel bel mezzo della terza ondata».

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