Giovanni Minoli cittadino onorario di Napoli: «Un posto al sole è un romanzo popolare»

La cerimonia della cittadinanza ad honorem: «Da piemontese ho restituito a Napoli qualcosa di quello che le abbiamo tolto»

Giovanni Minoli cittadino onorario di Napoli
Giovanni Minoli cittadino onorario di Napoli
di Luciano Giannini
Venerdì 12 Aprile 2024, 07:00 - Ultimo agg. 13 Aprile, 07:39
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L’artefice dell’omaggio è Patrizio Rispo, una delle colonne portanti di «Un posto al sole»: «Sette, otto mesi fa scrissi una lettera al sindaco, invitando colleghi attori e intellettuali a firmarla. La richiesta? La cittadinanza onoraria di Napoli a Giovanni Minoli, giornalista, autore, conduttore, saggista, creatore di nuova televisione, che la serie di Raitre ideò 27 anni fa, letteralmente salvando dalla chiusura il Centro di produzione tv di Napoli».

La perorazione ha avuto successo. Ieri, ore 11: l’auditorium Scarlatti è affollato come negli show che ospita. Quello in corso è «Stasera tutto è possibile». La sua variopinta scenografia accoglie ospiti illustri: il sottosegretario ai Beni culturali Lucia Borgonzoni; il procuratore Nicola Gratteri; l’amministratore delegato Rai Roberto Sergio; il presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco; gli ex ministri Dario Franceschini e Marianna Madia; un nutrito gruppo di attori e tanti altri; tutti accorsi ad applaudire l’eroe della giornata che, a fine mattinata, riceve dalle mani di Manfredi la pergamena e firma il registro onorario della città.

E lo fa nella cornice istituzionale più nobile, tra vigili urbani in uniforme di parata, il gonfalone della città, il sindaco in fascia tricolore, e perfino due standing ovation. Unica nota sommessa (e dovuta): un minuto di silenzio per la tragedia di Suviana. 

La cerimonia che consacra Giovanni Minoli cittadino onorario di Partenope è una favola a lieto fine, iniziata ben prima del 21 ottobre 1996, data della puntata di esordio. Lo ha ricordato lo stesso Minoli, al «Mattino», nell’intervista del febbraio scorso, quando la notizia fu diffusa; e lo ha ripetuto ieri alla platea festante: «Mi telefonò quella donna geniale che era Elvira Sellerio, allora nel cda Rai. Mi disse: “Vogliono vendere il centro tv di Napoli per fare cassa. Tu, che hai sempre idee brillanti, inventa qualcosa”».

Quel «qualcosa» è «Un posto al sole», oltre 27 anni di vita, 6445 episodi, 116.100 scene girate, zoccolo duro di circa due milioni di spettatori, 8% di share; il programma italiano più visto al mondo. Il festeggiato: «È come se, nello stesso periodo di tempo, avessimo girato 1.500 film, creando 2.500 posti di lavoro, indotto compreso». Precisazione cruciale: «Sbagliate a chiamarla “soap”. Questa fiction è un grande romanzo popolare, che si iscrive nella tradizione del feuilleton ottocentesco; ha un faticosissimo lavoro alle spalle; conserva freschezza perché le sue sceneggiature sono immerse nel reale. Ne affronta i problemi. Questa scelta produttiva fu la svolta vincente». Per concretarla, «misi insieme il modello industriale del Nord e la creatività del Sud. Avevo tutti contro: la Rai dei “professori”, perché comprare audiovisivo è più facile che produrlo, ma anche i napoletani. Mi aiutò Letizia Moratti, neo-presidente Rai, che credette nella nostra sfida. Cominciammo come i pionieri del Far West. Dovemmo inventare tutto. E lo inventammo». 

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La proposta di cittadinanza è stata approvata all’unanimità. Lo rimarca Gaetano Manfredi rilevando, poi, il ruolo di «Un posto al sole» come battistrada: «Ebbe inizio allora il percorso che ha reso Napoli capitale della fiction e ha rivitalizzato il centro di produzione, grande fabbrica di cultura, educazione, lavoro, tecnologia e futuro». Entrambi hanno contribuito alla «nuova centralità napoletana, che oggi attira investitori stranieri. Non a caso, per questa cerimonia siamo qui e non nella Sala dei Baroni».

Ma senza una cultura della fiction, «Un posto al sole» sarebbe stato possibile? Lo fa presente Antonio Parlati, direttore della sede Rai, esaltando la lunga esperienza accumulata con la produzione degli sceneggiati. Sergio, ad Rai, evoca «l’approccio visionario e innovativo» di Minoli. Basti pensare a «Mixer», che mostrò alla stessa tv pubblica i sentieri della modernità. «Quest’uomo è un pilastro del servizio pubblico», sebbene, nota il festeggiato, «quest’anno non ci sia traccia del mio nome nei palinsesti». La laudatio di rito è affidata a Buttafuoco. Il suo colto, spumeggiante intelletto ne tesse le lodi, paragonandolo a «uno sciamano, che destruttura il mezzo (la tv) per ricrearlo. Con “Un posto al sole” ha portato, qui nel Sud, una Fiat» (il suo modello industriale ne ricalca la struttura), «ma di quella conosciamo la fine, mentre questa... continua».

Un po’ stordito dalle laudationes, Minoli si sente partenopeo: «Da buon piemontese, anzi, sabaudo, ho restituito a Napoli un po’ di quel che le abbiamo tolto. C’è tanto Sud nel mio cuore». Il sole ha trovato il suo posto. 

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