Statali, più licenziati: uno su tre perché ha timbrato ma non è andato in ufficio. In un anno saliti del 13%

Nei ministeri e negli ospedali il record degli allontanamenti. La scuola in coda

Statali, più licenziati: uno su tre perché ha timbrato ma non è andato in ufficio. In un anno saliti del 13%
di Francesco Bisozzi
Domenica 2 Luglio 2023, 00:00 - Ultimo agg. 3 Luglio, 08:11
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L’ultimo caso ha fatto scalpore. È quello dell’insegnante di Chioggia che in 24 anni di carriera è stata assente per ben 20 anni. Alla fine è stata licenziata, ma ci sono voluti quasi cinque lustri per metterla alla porta. La scuola, del resto, licenzia poco. Lo scorso anno sono stati avviati ben 2.254 procedimenti disciplinari nei confronti di professori e di altro personale, ma soltanto in cinque casi si è arrivati al licenziamento.

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Un dato che è in controtendenza rispetto al resto del pubblico impiego, dove invece la percentuale di dipendenti a cui è stato dato il “benservito” continua ad aumentare.

L’ultimo monitoraggio è contenuto nella relazione sulla parificazione del rendiconto dello Stato della Corte dei Conti. I provvedimenti di licenziamento, spiegano i magistrati, sono «in considerevole aumento rispetto al dato del 2021». Da un anno all’altro sono aumentati del 13%. 


IL DOCUMENTO
Lo scorso anno il totale dei dipendenti licenziati dalle Pa è stato di 491 persone. Considerando che gli statali sono oltre 3,2 milioni in tutto, i numeri appaiono comunque bassi. Ma se si usa la lente di ingrandimento ci si accorge che la quota dei licenziati è quasi raddoppiata in un decennio, da quando cioè la questione delle norme sul licenziamento dei dipendenti pubblici è diventata una questione centrale. Vi ricordate le inchieste sui “furbetti del cartellino”, con le famose fotografie di alcuni dipendenti che si recavano a timbrare l’ingresso, persino in braghe, senza poi entrare negli uffici? Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata. La narrazione del dipendente pubblico come “fannullone” è stata riposta nel cassetto. In quegli anni, probabilmente, questo storytelling è stato funzionale anche all’adozione di una serie di politiche di contenimento dei costi, come il blocco dei contratti pubblici, quello del turnover o il pagamento differito della liquidazione. Dalla pandemia in poi c’è stata invece una sorta di riscatto degli statali, considerati come capitale umano o «volti della Nazione» (così li aveva definiti il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ai tempi dei lockdown). 


I CONTROLLI
Questo però non toglie che la macchina dei controlli sia probabilmente diventata più efficiente. Nel 2022, spiega la Corte dei Conti, sono stati avviati 10.707 procedimenti disciplinari nella Pubblica amministrazione. Quelli per «falsa attestazione della presenza accertata in flagranza» sono stati soltanto 168. La maggior parte di questi casi si è registrata nei ministeri e nei Comuni. Rispetto ai 10 mila e passa procedimenti avviati, ne sono stati conclusi 8.175. La maggior parte di questi, 3.562, si sono conclusi con sanzioni minori, mentre altri 2.500 circa con l’archiviazione o il proscioglimento del lavoratore. Ci sono state 1.663 sospensioni dal servizio, la maggior parte delle quali (quasi 1.100) inferiori a 10 giorni. La maggior parte delle sospensioni, spiega il rapporto della Corte dei conti, «si riconducono all’inosservanza di disposizioni di servizio, negligenza e comportamenti scorretti, seguite da quelle per assenze dal servizio ingiustificate o non comunicate nei termini prescritti, dal doppio lavoro e da false attestazioni della presenza in servizio». Per quanto riguarda invece i licenziamenti, resta il dato che la maggior parte di questi, il 30 per cento, sono stati determinati proprio dalla falsa attestazione della presenza in servizio colta in flagranza. 

I DATI
Dove si licenzia di meno, sempre secondo i dati raccolti dalla Corte dei Conti, sono le scuole e le università. Dove si licenzia di più sono invece i ministeri e gli ospedali. Più che controlli e licenziamenti, in realtà, a preoccupare la Corte sono altre questioni che riguardano il pubblico impiego. La prima: le norme di stabilizzazione dei precari, soprattutto quelli impegnati per il Pnrr, non devono bypassare la valutazione del merito. La seconda è che le progressioni verticali, le promozioni anche senza titolo permesse dal nuovo contratto di lavoro, devono essere fatte con criteri meritocratici. 
 

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