Terra dei fuochi, tumori e cure: «Molti ritardi, poche certezze» Video-Foto

Terra dei fuochi, tumori e cure: «Molti ritardi, poche certezze» Video
Giovedì 5 Dicembre 2013, 08:42 - Ultimo agg. 10:28
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Terra dei fuochi ed emergenza sanitaria, medici e governatore Stefano Caldoro a confronto sui ritardi nelle cure dei tumori. Il dibattito, appassionato e serrato, a tratti duro, nello scambio di battute e nella lettura dei dati, ma sempre propositivo, organizzato nella sala Siani del Mattino.

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Il faccia a faccia dura quasi tre ore e viene trasmesso in diretta streaming sul sito internet del giornale. E la denuncia che si leva è chiara: occorre fare di più, e subito, per ridurre lo «spread della vita» che colpisce gli abitanti di una regione già martoriata da rifiuti interrati e roghi tossici. E occorre fare quadrato: mettere insieme le forze, rafforzare il dialogo tra professionisti che operano sul territorio e negli ospedali.

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Cinque sono le criticità da affrontare, secondo i medici e i rappresentanti delle associazioni degli ammalati e dei comitati schierati in difesa di ambiente e salute. Puntando anche al monitoraggio epidemiologico attraverso il registro tumori che, però, non può prescindere da un’analisi rigorosa dei dati raccolti su incidenza e mortalità quanto più rapida possibile per dare informazioni certe alla popolazione. Quanto alle carenze nel programma di screening, rilanciarli è un imperativo categorico. Poi, ci sono la questione delle attrezzature per potenziare la diagnosi precoce, ma anche per rafforzare le risposte nell’assistenza, la ricerca clinica e la riorganizzazione delle strutture operative individuando, attraverso un piano regionale, i centri di riferimento in oncologia. La Regione, con il governatore Caldoro e il capodipartimento della salute Ferdinando Romano, annuncia un piano in tre mosse per la svolta. «Attesa, indispensabile».

Registro tumori, i nuovi dati. Interviene Mario Fusco: è il responsabile del registro tumori Regione Campania - Asl Napoli 3 Sud. Riepiloga quanto fatto finora, spiegando che sostanzialmente la Campania non è in ritardo rispetto ad altre realtà regionali di pari consistenza: «Il registro tumori nell’allora Asl Napoli 4 (oggi Napoli 3 Sud), partito per primo nel 1995, è stato fatto proprio dalla Regione nel 2000». Un altro è stato attivato dalla Provincia di Salerno. Dice Fusco: «I due registri insieme, con dati validati dalla comunità scientifica internazionale, oggi coprono il 36 per cento della popolazione campana». In più, da due anni c’è il registro tumori della provincia di Caserta, 916mila abitanti. Così si arriva a una copertura del 54 per cento della popolazione.

Restano fuori le province di Benevento e Avellino, le Asl Napoli 2 Nord e Napoli Centro. «Per queste quattro aziende sanitarie - spiega Fusco - sono stati già deliberati i registri tumori, realizzati i database ed è stato fatto il primo corso di formazione, per cui a gennaio cominceranno a raccogliere i dati». Quando li pubblicheranno? «Probabilmente, non prima di tre anni». Pur precisando che quasi nessun’altra regione italiana ha predisposto un’analisi tanto ampia, Fusco sottolinea che «i registri tumori sono fondamentali perché rilevano sul territorio l’andamento della patologia oncologica, quali sono le variabili, non solo il dato assoluto».

Tuttavia per Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Filadelfia, (che in premessa sottolinea i gravissimi danni procurati dall’industria di un certo periodo storico, come ad esempio l’Isochimica in Irpinia) «il registro tumori in Campania finora non è riuscito a dare le informazioni in tempo reale con risultati che potevano aiutare la popolazione». Sottolinea Giordano: «Essere un tecnico non significa essere un ricercatore. Difatti, con le schede di dimissione ospedaliere si è riusciti ad avere una serie di dati scientifici e a dimostrare che i registri non riportavano circa 40mila casi di tumore alla mammella. Questo dato è emerso con un lavoro realizzato da me e finanziato dal governo federale americano. Di conseguenza si è evidenziato che c’è un aumento della neoplasia tra le donne al di sotto dei 40 anni».

Ora coordinamento scientifico. L’oncologo partenopeo Giordano interviene in collegamento via Skype, la sciarpa del Napoli in bella vista sulla porta del suo studio. S’infervora quando parla di Terra dei fuochi ed emergenza sanitaria. «Il registro tumori - dice - dovrebbe essere integrato da un’altra serie di dati importanti. Ma non c’è stato finora un reale coordinamento scientifico nel monitorare il problema della salute».

Significa che «la gente muore, ma il sistema sanitario non è in grado di mettere in campo un programma di prevenzione efficace, che va realizzato a partire da quelle zone dove è stato fatto questo grave scempio». Annuisce Gaetano Rivezzi, pediatra dell’ospedale di Caserta e presidente campano dell’Isde, l’associazione dei medici per l’ambiente. Sostiene: «Il mondo sanitario ha dormito sui temi ambiente e salute, mantenendo una vecchia impostazione. Il mondo ambientale, e mi rivolgo all’Arpac, ha dormito ugualmente». Nel guardare al futuro il medico sottolinea l’importanza di stabilire un dialogo su questi argomenti, tra istituzioni e anche con i camici bianchi che operano sul territorio. «Ma dobbiamo essere rapidi nel dare risposte. Non possiamo aspettare tre anni per il registro tumori».

Lite tra medici. Ed è sulle questioni aperte nella Terra dei fuochi che all’improvviso sale la tensione. Duro botta e risposta tra Rivezzi e Fusco sulle ricerche avviate dai «Medici per l’ambiente», su metodo e validità scientifica e sulla lettura dei più recenti studi che indicano incidenza e mortalità dei tumori. Soprattutto, sul nesso tra ambiente a salute. C’è di certo che «abbiamo una mortalità maggiore rispetto a Centro e Nord Italia, dobbiamo capire perché e come possiamo meglio attutire questo impatto»: prende la parola Cesare Gridelli, direttore del dipartimento di oncoematologia del «Moscati» di Avellino per sintetizzare i 5 punti programmatici.

Cosa va fatto subito. Priorità: «Gli screening vanno migliorati» avvisa Gridelli. A partire dalla prevenzione per i tumori del colon-retto che funziona solo in due Asl su sette. Per il tumore della mammella il 43 per cento delle donne non risponde all’invito a eseguire i controlli. E per il tumore dell’utero lo fa poco più della metà. «A questo punto non basta fare la telefonata. Bisogna insistere. La dioagnosi precoce non avviene se non funziona lo screening. Così si salvano vite umane, e si risparmiano anche un mare di soldi alla fine per quanto costano le cure». Lo sa bene Rosetta Papa, direttore dell’unità operativa Salute Donna e responsabile del programma di screening dell’Asl Napoli 1 Centro. Afferma: «Lo screening è una rivoluzione culturale non solo per la popolazione campana che è poco abituata a una sanità efficiente, ma lo è anche per il mondo sanitario, perché lo screening non prevede protagonisti, richiede la professionalità di moltissime persone e ha collegamenti con il Policlinico della Federico II e il Pascale».

C’è anche un altro motivo decisivo, afferma Papa, che non fa decollare la prevenzione: «A parte quei programmi che non sono partiti come il colon-retto, nell’Asl Napoli 1 abbiamo messo a punto tutto quanto prevede il piano nazionale, ma abbiamo una adesione del 25 per cento». L’effetto paradossale: «Lo screening che non riesce a reclutare una popolazione sufficiente, che abbia un impatto, è considerato una dispersione di fondi».

Meno centri di cura. Questione non secondaria: «Il piano oncologico regionale, che al momento non c’è. I tumori in Campania oggi vengono curati in 114 centri, tra pubblico e privato, e solo il 30 per cento in strutture di eccellenza». Chiaro che «chi opera un cancro del retto una volta ogni due mesi non ha lo stesso risultato di chi opera dieci a settimana». Sostiene Gridelli: «Bisogna decidere chi fa cosa». L’oncologo cita come modello il Veneto: «Lì curano certi tumori solo in alcuni ospedali. Anche qui bisogna stringere, bloccando i drg, ossia i rimborsi per il trattamento di alcuni tipi di tumori».

Incentivare la ricerca clinica

Dove si fa ricerca clinica si fa una buona assistenza, perché significa farmaci innovativi più risposte terapeutiche. «C’è poca attività scientifica in Campania: va incentivata» dice ancora Gridelli. E per non bloccare quanto è già in corso vanno riorganizzati anche i comitati etici, secondo le linee del ministero della salute.

Più apparecchiature. Altra questione: la radioterapia. La Campania ha 4,5 acceleratori lineari per milione di abitanti, la Lombardia 7. «Ce ne vogliono 8, per stare agli standard europei» avvisa Gridelli. Quindi il problema delle liste di attesa. Questione che spinge pure i pazienti a emigrare alla ricerca di cure. Pantaleo Romanelli è neurochirurgo del CDI di Milano ed è anche il medico che ha seguito l’ammalata di tumore, incinta, che dalla provincia di Salerno è andata fino in Grecia per curarsi. Primo europeo a lavorare con il Cyberknife, Romanelli sottolinea che «la tecnologia e l’innovazione sono di estrema importanza nella medicina moderna». Un problema è che «si combattono battaglie di retroguardia, ma la sanità oggi è il principale motore dell’economia». Si deve «puntare all’eccellenza anche per uscire dalla crisi». E in Campania è importante fare di più per aumentare le percentuali di «diagnosi precoce e rapidità delle cure».

Interviene poi il direttore scientifico dell’Istituto tumori Pascale, Gennaro Ciliberto, che indica i trattamenti eseguiti con il Cyberknife. Circa duecento in un anno a Napoli, in aumento. «Ci sono anche elementi di cattiva informazione e pregiudizio che incidono» dice, riferendosi alla migrazione sanitaria.

Quanto al numero inadeguato di apparecchiature di radioterapia e il divario tra Sud e Nord Italia, Ciliberto afferma: «Ci sono contraddizioni che devono essere risolte, perché se da un lato abbiamo un ministro che dice che noi dobbiamo ridurre, tagliare le risorse della sanità e gli investimenti, ma dall’altro non ci adeguiamo a quello che s avremo sempre questo fenomeno. Anziché ridurre gli investimento dobbiamo aumentare. Dobbiamo potenziare le strutture forti che abbiamo». E per far funzionare i macchinari occorre anche affrontare le carenze di personale dovute al blocco del turn over imposto dal piano di rientro dal deficit. Ciliberto affronta anche la questione del nesso causale. «Io sono ricercatore - dice - e parlo con dati alla mano. La situazione in Campania è difficile ma non vi è certezza del rapporto diretto tra i tumori e alcune realtà ambientali della Campania. Un assunto che vale ma in senso generale»

Ospedale-territorio. Ma è questione anche di organizzazione. Il rapporto tra la medicina ospedaliera e le cure sul territorio: «È un disastro» afferma Gridelli. Questioni che si intrecciano: «Le donne in Campania - sottolinea Papa - hanno la più bassa aspettativa di vita e sono anche più povere e meno acculturate». Come non bastasse, «la forbice sociale si è divaricata, il rischio è che queste persone non si cureranno». Per ridurre il disagio, è fondamentale seguire l’ammalato in tutto il percorso che va dalla diagnosi alla terapia, senza trascurare la prevenzione. In una parola, intercettandone i bisogni. Come sottoline Francesca Moccia, vicepresidente di Cittadinanzattiva, l’associazione che con il Tribunale per i diritti del malato ha creato un osservatorio anche su queste tematiche. Ventisettemila le segnalazioni in un anno ricevute da tutt’Italia. «Al primo posto c’è proprio una difficoltà dell’accesso alle cure. La specificità campana è proprio la qualità dei servizi resi».