Barbara Hannigan Teatro San Carlo di Napoli: «Zorn, un poema epico con acrobazie vocali»

«Mi divido tra il canto e il podio, mi piace anche fare le due cose insieme»

Barbara Hannigan
Barbara Hannigan
di Donatella Longobardi
Sabato 11 Maggio 2024, 09:00 - Ultimo agg. 12 Maggio, 10:06
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C’è un intenso e intricato incrocio di volti e voci superstar fino alla fine del mese al San Carlo. Dopo il concerto di ieri diretto da Edward Gardner con il basso John Relyea, stasera sarà la volta di Barbara Hannigan in recital accompagnata al piano da Bertrand Chamayou. Il direttore inglese, principal conductor della London Philharmonic Orchestra e direttore musicale del Norwegian National Opera and Ballet, insieme con il basso e il soprano canadesi resteranno a Napoli dove dal 24 al 30 maggio porteranno in scena un dittico realizzato tra Parigi e Madrid qualche anno fa con la regia di Krzysztof Warlikowski: «Il castello di Barbablù» di Bartók, con il ruolo di Judith affidato a Elīna Garanča, e «La voce umana» di Poulenc. Il tutto inframmezzato da un recital il 23 maggio di Nadine Sierra, un concerto da camera con alcune prime parti del teatro domenica 12 (ore 18): Pieranunzi, Sartori e Caruso che si immergono nelle atmosfere di Milhaud, Stravinsky e Bartók. Mentre dal 25 al 30 si svolge il festival pianistico con Sokolov, Fray, Pletnev e Piemontesi.

Divi ed eventi per vari gusti che vedono, tra l'altro, il debutto a Napoli di un personaggio poliedrico come la Hannigan soprano ma anche direttore d’orchestra, animatrice di iniziative come Equilibrium Young Artists e Our Future Now destinate a sostenere giovani musicisti.

E, sopratutto, collaboratrice di molti autori contemporanei da Boulez a Sciarrino, Ligeti, Barry, Dusapin, Dean, Benjamin. Per non dire di John Zorn, re dell’avanguardia newyorkese, che le ha dedicato «Jumalattaret», eseguito in Italia due anni fa a Spoleto e premiato come novità con l'Abbiati. Stesso brano vocalmente impervio che eseguirà stasera. 

 

Ne vuole parlare, miss Hannigan? 
«In nove movimenti, ciascuno dedicato a una diversa dea finlandese del poema epico “Kalevala”, l'opera esige grandi virtuosismi, sia nella morbida bellezza che nelle acrobazie pirotecniche composte sia per il pianoforte che per la voce. Adoro cantare questo pezzo che racconta di eroine che non temono la violenza e non conoscono barriere umane o naturali e abbinarlo, come in questa occasione, al Messiaen dei “Chants de terre et de ciel”, è un incontro unico».

È la sua prima volta al San Carlo. Ed è speciale anche il suo programma napoletano tra Poulenc e Zorn, come si divide tra le due proposte? 
«Il programma affonda le radici nella spiritualità: la profonda fede cattolica che Messiaen mantenne per tutta la sua vita e influenzò tante delle sue opere; il misticismo di Scriabin e infine le dee di Zorn. Naturalmente adoro “La voix humaine”, l’ho cantata più volte. Questa produzione del 2015 con Warlikowski è molto interessante, con lui ho lavorato spesso e sono orgogliosa di ciò che abbiamo creato insieme».

A proposito di creazioni, si dice che Zorn abbia scritto un nuovo pezzo per lei, è vero? 
«Zorn ha scritto quattro nuovi pezzi per la mia voce, anzi cinque. Ne ho ricevuto uno nuovo qualche settimana fa che deve ancora essere presentato in anteprima. Due sono con pianoforte; uno con quartetto d'archi; uno con pianoforte, basso e batteria; un altro con una diversa combinazione di musica da camera. Insieme prepariamo due album che usciranno presto intitolati “Hannigan sings Zorn”, con le esibizioni che ho dato della sua musica in Italia e a New York». 

Ma come sceglie il suo repertorio e i brani nuovi da eseguire? 
«Ho una sensazione istintiva per la musica che eseguirò. Innanzitutto seguo la voce del compositore, poi il modo in cui si sente la musica già sulla pagina e come mi spinge a volerla scoprire di più. Mi sento un archeologo che sfiora una scoperta sconosciuta. Ma sono curiosa di tutto, anche del barocco».

Direttore e cantante, un ruolo che preferisce? 
«Amo qualunque cosa sto facendo nel momento presente. Non c’è preferenza. Voglio solo fare musica con altri musicisti. Se canto sono totalmente immersa in quello. Se dirigo allora in quel momento non c’è niente di meglio al mondo. E, a volte, fare entrambe le cose. Per esempio, “La voix humaine”: dal 2021 eseguo quest’opera dal podio e come cantante, con video dal vivo, in un concept che ho creato con Denis Gueguin».

Come direttore donna è stato difficile farsi accettare? 
«Ho 53 anni e poiché ho iniziato a dirigere intorno ai 40 dopo aver avviato la mia carriera come solista già da quasi 20 anni, lavoravo spesso con persone che conoscevano la mia musicalità. Naturalmente ci sono sfide con qualsiasi posizione di leadership, e la direzione d’orchestra non fa eccezione. Anche per questo ho deciso di sostenere i giovani con vari progetti per aiutarli a raggiungere una carriera di successo e tante soddisfazioni».

Ma a suo parere perché la musica contemporanea ha difficoltà a essere accettata dal grande pubblico? 
«Penso che parte della musica contemporanea sia difficile da seguire, specialmente il serialismo e la musica tonale. Ma in realtà c’è un pubblico che ama ascoltare musica che conosce e altri che vogliono ascoltare musica che non conoscono. Tutto qui». 

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