Il boss Graziano cremato nel forno
taglieggiato dal pizzo imposto dai figli

Il boss Graziano cremato nel forno taglieggiato dal pizzo imposto dai figli
di Gianni Colucci
Sabato 11 Giugno 2022, 09:49
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 A volte il destino è davvero beffardo. Sulla facciata dell'impianto di cremazione di Domicella ci sono ancora i segni dei proiettili. Furono esplosi dai figli del boss il cui feretro ieri mattina è stato ridotto in cenere.
Nell'estate del 2019 un commando composto da quattro persone fece fuoco contro l'edificio dell'impianto di cremazione, dopo che il gestore aveva rifiutato di piegarsi alle richieste estorsive denunciando tutto.
Per quell'episodio sono in carcere i figli di Arturo Graziano, il boss deceduto giovedì, Fiore e Salvatore.
E ieri alle 12 il carro funebre, una Mercedes grigia, con il feretro di Graziano, dalla villa del boss ha raggiunto l'impianto di Domicella per la cremazione del defunto. Lì dentro la fine di una storia, storta come le strade che conducono al Vallo Lauro.
Strana combinazione di destini.

La benedizione del parroco del paese, don Luigi, quindi il piccolo corteo raggiunge Domicella dove avviene la cremazione. Ancora un minuto di raccoglimento mentre il sacerdote mormora la formula funebre e in pochi attimi si chiude una storia di quasi mezzo secolo fatta di violenza e sopraffazione.
Nelle auto al seguito ci sono la moglie Gilda Rega, che spesso è stata coinvolta nelle vicende giudiziarie del marito, e le figlie del boss, Esterina e Maria Grazia; i due figli maschi, Fiore e Salvatore, sono in cella per la storia dell'estorsione all'impianto. Ci sono le nuore e i generi, i nipoti. Il questore ha impedito che si svolgessero esequie solenni. Non ci sono amici e paesani. La frazione di Bosagro di Quindici è come svuotata. I carabinieri della stazione di Quindici e gli agenti del commissariato di Lauro, guidati dal vice questore Elio Iannuzzi, presidiano discretamente la villa dei Graziano e il percorso fino a Domicella.

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In paese si percepisce il clima cupo dei giorni in cui fiatare è inutile, ma forse è il cielo plumbeo a contribuire alla tensione. Il bar Moka davanti al municipio è il deposito dell'inquietudine. O almeno sembra. Si recupera una battuta: «Era uno che si è fatto da solo. Povera gente che nel dopoguerra era rimasta senza padre». E non c'è un filo di ironia e nemmeno un accenno di giudizio. Una oggettiva presa di coscienza di un modo di essere che, tutto sommato, la maggioranza dei quindicesi ha dovuto sopportare.
Il 26 giugno nella città mariana, intitolata a Santa Maria delle Grazie, canta Mauro Nardi. Ci sarà la celebrazione solenne e la vita tornerà a scorrere. Ci si prepara ai riti antichi della comunità dei quindicesi che probabilmente di faide e sparatorie, violenze e traffici illegali prova a dimenticarsene.
Non ne vuole sapere nessuno in paese, non si vuole che l'oblio.
Il sindaco ha continuato il suo lavoro in municipio, come sempre. Un complesso gioco di equilibri per mantenere la vita civile del paese nel massimo del decoro. Ci sono i problemi del bilancio e delle opere pubbliche che incombono, occorre mettere come in parentesi certi personaggi e certi fatti.
La magistratura negli anni ha tagliato le teste dell'idra, quelle che continuamente ricrescevano.
Oggi i successi della magistratura e delle forze dell'ordine sono certezze.

Fatto sta che nella vicina Taurano oggi arriva don Ciotti, fondatore di Libera, che incontra le scuole del territorio per la III edizione del premio Nunziante Scibelli, la prima vittima innocente irpina della camorra.
Fu ucciso per errore in un agguato nel 91. Era in auto, in Contrada Ima tra Quindici e Lauro, con al fianco la moglie incinta di sette mesi. Agì un commando di fuoco del clan Graziano impegnato nella faida cieca contro i Cava.
La vita ha strani intrecci, un fratello di Nunziante lavorava nella villa che fu dei Graziano e destinata a ospitare il maglificio Centoquindicipassi. Questo spiraglio di rivolta al male diffuso della camorra vive un momento di difficoltà.
È a Taurano che si ricorda la vittima di camorra. Quindici è un paese destinato ad essere vittimizzato. E Quindici si difende come può. Intorno alle ville e alle casette linde, quelle vicino ai carabinieri e al municipio, alte cancellate; ma sono le mura inquietanti, come quella intorno alla casa dei Graziano, a rendere spettrale il panorama.
Via San Sebastiano e via Antonio Scibelli mostrano bei portali e balconi fioriti; le frazioni martiri della frana del 98, a monte dell'abitato, conservano i segni di un degrado diffuso. Sgomma qualche Bmw con targa tedesca, più che altro il segno che l'emigrazione non si è fermata. Come se si fosse negli anni Settanta.
Il cimitero è punteggiato delle cappelle monumentali e dai sepolcri con i nomi dei boss defunti, il 2 novembre è uno tripudio di luci, oggi ci sono fiori freschi.

Per la gente comune tumuli ordinari, in un capovolgimento di censo che si esalta nella morte.
Il cancello del cimitero è sigillato, si affaccia qualche parente dei Graziano, nella speranza di incontrare la famiglia.

Si riapre alle 15 per la tumulazione sotto stretta sorveglianza dalle forze dell'ordine.

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