Terremoto in Irpinia, il ricordo di Gori:
«L'amicizia nel segno del dolore»

Terremoto in Irpinia, il ricordo di Gori: «L'amicizia nel segno del dolore»
di Lorenzo Calò
Giovedì 15 Ottobre 2020, 21:00 - Ultimo agg. 28 Ottobre, 14:07
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«Una vicenda che mi colpì moltissimo e che ha segnato un momento importante della mia crescita». Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, nel 1980 aveva appena venti anni. Ed era uno dei tanti volenterosi che dal profondo Nord arrivarono in Irpinia per portare il loro aiuto alle popolazioni colpite dal sisma. «Mancava di tutto: medicinali, coperte, generi di prima necessità», ricorda Gori. 

A Lioni l'allestimento del nucleo di abitazioni conosciuto come «Campo Bergamo», in memoria di quei drammatici giorni, è la testimonianza tuttora tangibile di quel senso di forte solidarietà nazionale che all'epoca unì tutto il Paese.

Come del resto, ai nostri giorni, il dolore e la tragedia per i lutti provocati dal Covid a Bergamo e in provincia, ha fatto scattare una gara di solidarietà e affetto facendo giungere in Val Brembana la vicinanza e il sostegno di chi, molto più a Sud, in Irpinia, non ha mai dimenticato l'aiuto concreto che nei terribili giorni del sisma offrirono i fratelli del Nord.

Sindaco, cosa ricorda con maggiore coinvolgimento emotivo di quell'esperienza?
«Era inverno, faceva molto freddo. Io sono stato tra quelli che per primi decisero di partire e di raggiungere l'Irpinia. Sapevamo che lì c'era bisogno di aiuto, eravamo giovani e desiderosi di fare qualcosa per il nostro Paese in un momento di grave difficoltà».

E cosa faceste?
«Partimmo da qui, da Bergamo: eravamo circa una trentina. Poi ci divisero in due squadre: una con destinazione Lioni, l'altra Frigento».

E lei dove finì?
«Io andai a Frigento. E qualche anno fa, in ricordo di quell'esperienza, la stessa comunità di Frigento, e ne sono stato onorato, mi ha anche attribuito la cittadinanza onoraria e ancora oggi i rapporti con Luigi Famiglietti (il sindaco che nel 2011 ha firmato il provvedimento, ndr) sono costanti e solidi. Segno insomma che quell'evento ci ha uniti nel tempo».

All'epoca la Protezione civile non era organizzata ed efficiente come oggi...
«Ricordo che a Frigento non ci furono vittime, almeno nell'immediato, ma il Paese era devastato. Io stesso mi beccai una forte bronchite e mi curarono con dei farmaci a base di codeina, che erano arrivati dalla Germania. Eravamo alloggiati in una scuola, che non so come era rimasta in piedi. Con noi c'erano anche dei paracadutisti della Folgore».

A distanza di 40 anni, a parti rovesciate e a causa di una pandemia terribile, Bergamo e la sua comunità si sono trovate a vivere un'esperienza simile...
«Fino alla metà di marzo non era ben chiaro a tutto il Paese il dramma che Bergamo e provincia stavano vivendo. Poi, l'immagine di quei camion militari che trasportavano decine di bare ha scosso l'Italia».

Un tributo di vite umane per un male che ancora oggi ci perseguita...
«Già a fine marzo i morti per Covid soltanto a Bergamo città erano 400, a livello provinciale abbiamo contato 6mila vittime».

Come giudica la mobilitazione del Paese per la sua comunità, così duramente colpita e diventata essa stessa un simbolo del Covid ?
«La violenza distruttrice del Covid, come quella del terremoto nel 1980, hanno toccato il cuore delle persone e determinato prove di amicizia e solidarietà. Gli Italiani sono fatti così».

Molti ci hanno visto anche una sorta di pregiudizio al contrario: la Lombardia, il Nord super-efficiente messi in ginocchio dall'epidemia...
«Una lettura che rigetto con forza, in primo luogo per rispetto alle migliaia di persone che hanno perso la vita a causa del virus. Dunque, assolutamente fuori contesto e di pessimo gusto battute o illazioni che sono state fatte. Poi va evidenziato un altro aspetto».

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