Cantone: non ci servono gli eroi,
Picascia va protetto e sostenuto

L'imprenditore Antonio Picascia al convegno con Raffaele Cantone
L'imprenditore Antonio Picascia al convegno con Raffaele Cantone
Sabato 25 Luglio 2015, 15:56 - Ultimo agg. 15:57
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Aldo Balestra

«Ora Picascia non sia lasciato solo. Per quanto ha fatto in passato denunciando le richieste estorsive della camorra, per aver contribuito a far arrestare componenti del clan Esposito, per il suo impegno attuale nel promuovere il coraggio degli imprenditori in un territorio difficile come la provincia di Caserta». Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, l’altra sera era a Sessa Aurunca, al fianco di Antonio Picascia, in una delle tappe del «Festival dell’impegno civile», promosso dal Comitato Don Diana e da Libera per ricordare la figura di Alberto Varone (un imprenditore che distribuiva giornali, ucciso 24 anni fa dal clan dei «Muzzoni» per il rifiuto a pagare il pizzo). Poche ore dopo la fine del convegno l’azienda di Picascia, che produce detersivi, andava a fuoco. Incendio doloso, secondo i primi riscontri dei Carabinieri del Comando Provinciale di Caserta.



Che idea s’è fatto presidente Cantone?

«Un minimo di cautela è d’obbligo, ma se confermata la matrice dolosa è pressocchè inevitabile pensare che in quel contesto la matrice sia camorristica. Picascia in passato aveva denunciato fatti estorsivi alla Dda. E il tutto è avvenuto subito dopo la sua partecipazione una manifestazione in cui, con parole durissime, è tornato ad accusare il clan».

Picascia ha parlato di «scarafaggi».

«Già. C’erano autorità, forze dell’ordine, cittadini. E lui ha avuto parole pesanti, facendo nomi e cognomi. Mi preme sottolineare, intanto, che dopo la sua prima denuncia, che proprio io raccolsi nel 2007, Picascia aveva vissuto momenti di grande isolamento e solitudine per aver combattuto il clan Esposito. Non vorrei, allora, che si ripetesse quella condizione».

C’è questo rischio?

«Intanto se ciò dovesse accadere si farebbe un grandissimo regalo ai clan, riconoscendo una loro vittoria. Vede, la camorra conosce bene i valori simbolici, colpire uno di loro avrebbe una ricaduta enorme sul territorio, e questo non dobbiamo consentirlo. È anche vero che, proprio in provincia di Caserta, talvolta, chi fa il proprio dovere finisce per vivere condizioni di isolamento, abbandono, addirittura - come nel caso di Picascia, ostracismo».

A cosa si riferisce?

«Ha denunciato ritardi e inghippi burocratici (recentemente per il rinnovo del porto d’armi, nonostante la sua richiesta fosse stata presentata nei termini, ndr), e questa è una condizione di zelo e formalismo che purtroppo enti ed istituzioni spesso mettono in campo soprattutto con chi ha fatto scelte di campo molto forti. Non che si debba adottare una corsia preferenziale, sia chiaro. Insomma, la burocrazia si accanisce nei confronti di chi si espone, rispetto magari a chi non fa il suo dovere».

Picascia non è diventato un testimone di giustizia.

«All’epoca della sua denuncia non ritenemmo che ci fosse questa condizione. Lo stesso Picascia non la richiese».

Cosa si attende?

«Che ci siano un coinvolgimento ed una presa di coscienza generale, che vadano oltre la dignità personale del coraggio e della denuncia. Non abbiamo bisogno di un eroe Picascia, e non mi piace il termine eroe, ma di persone che fanno il proprio dovere di cittadini senza voltarsi dall’altra parte. Il momento è delicato».

Perchè?

«Nel Casertano, negli ultimi anni ci sono stati sì segnali di risveglio importante, ma anche una certa ripresa dell’attività criminale. Ecco perchè questi sono i classici episodi che possono fare da spartiacque. La società civile dimostri di esserci. E di schierarsi».

Intanto il mondo dell’imprenditoria, in recenti inchieste della Dda, mostra tendenze a giocare ruoli bifronte, mettendosi al servizio del clan. Ciò che è peggio è che, talvolta, avviene in nome dell’Antimafia.

«È così, e il tema è delicato. Io dico agli imprenditori che l’unica scelta giusta, ed utile per la propria azienda, è denunciare, o schierarsi al fianco di chi lo fa. Inutile pensare di essere vittime senza farsi avvinghiare in un gioco perverso. Questa gente prima viene a chiederti il pizzo, domani il posto di lavoro, dopodomani la cortesia generica, poi vuol sedersi al tuo fianco in azienda. Non te ne accorgi, ma è allora che diventi complice del camorrista. Pagare la tangente, insomma, è sempre l’inizio della fine».

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