Carcere di Santa Maria Capua Vetere,
spunta l'album con la black list dei detenuti

Carcere di Santa Maria Capua Vetere, spunta l'album con la black list dei detenuti
di Mary Liguori
Venerdì 9 Luglio 2021, 08:00 - Ultimo agg. 18:40
4 Minuti di Lettura

Pestaggi mirati, regolamenti di conti tra agenti e detenuti. Nella baraonda del massacro massivo c'è stato spazio anche per questo. Con gli agenti «offesi» dai detenuti nei giorni o nelle settimane precedenti a indicare, con tanto di foto, ai picchiatori arrivati da Secondigliano, i carcerati che dovevano buscarle più forte. Parlano di un blocco di foto, le vittime del massacro del reparto Nilo, immagini raffiguranti detenuti fastidiosi poi indicati per subire le peggiori violenze. È uno dei nuovi spaccati che emergono dalla lettura delle migliaia di pagine agli atti d'inchiesta per i fatti avvenuti a Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile del 2020. Ne parlano tre detenuti quando, in primissima battuta, con i segni delle percosse ancora evidenti sulla faccia, le ossa rotte e qualche dente mancante, denunciano i propri aguzzini aprendo lo spaccato di un'inchiesta che, due settimane fa, ha avuto una eco mediatica di proporzioni internazionali. Dopo le indicazioni degli agenti «di casa», sarebbero partite raffiche di manganellate «mirate» in direzione dei carcerati presenti nella lista nera. «Avevano la mia foto», racconta un detenuto agli inquirenti. «Prima di iniziare a massacrarmi ho visto che leggevano qualcosa da alcuni fogli, credo avessero delle foto», conferma una seconda vittima «stavo antipatico a uno di quegli agenti, per questo mi ha fatto picchiare così forte», aggiunge un altro. E anche la «deportazione» in isolamento sarebbe avvenuta non a caso, ma in base a precisi criteri punitivi derivanti, forse, anche dalle rivolte dei giorni precedenti. 

Ma non tutti gli agenti ebbero un ruolo attivo. Lo dicono gli stessi detenuti. «Quando arrivammo al Danubio, gli agenti del reparto ci videro pieni di sangue, zoppicanti e videro il povero Lamine Hakimi, quasi svenuto, poi morto proprio in isolamento.

Quelli con i manganelli continuavano a percuoterci e gli agenti del Danubio intervennero in nostra difesa, Cosa state facendo? Fermatevi! Ma quelli di Secondigliano risposero fatevi i c... vostri». Emerge poi il ruolo passivo di alcuni indagati. «Un ispettore fumava il sigaro e guardava come ci riempivano di mazzate. Un altro disse per colpa vostra stasera torno a casa alle 9. Uno diceva, ironicamente, di smetterla». Alla luce delle ultime testimonianze, il numero degli indagati sembra destinato ad aumentare. Mentre i pm hanno fatto ricorso per ottenere l'accusa di morte a seguito dei pestaggi per Hakimi che, per il gip, si è suicidato. 

Video

Ma nel calderone è finito anche chi, quel giorno, all'Uccella, non c'era affatto, ma ha passato ai domiciliari gli ultimi dieci giorni. È l'assistente capo Giuliano Zullo, scagionato dallo stesso gip che ne aveva ordinato l'arresto. Vittima di un clamoroso scambio di persona, Zullo era a riposo il 5 a il 6 aprile: l'uomo dei video è un altro agente, ora identificato. Sono riusciti a dimostrarlo i suoi avvocati, Giuseppe Stellato e Ernesto De Angelis. Dopo la scarcerazione, lo sfogo di Zullo al Mattino. «Mi hanno trattato come un mostro, arrestato nel giorno della cerimonia per mio figlio che sta per diventare sacerdote e mi hanno anche dato lo sfratto da casa. Nel tritacarne da innocente e dopo che se ne sono resi conto, durante il mio interrogatorio, allargando l'immagine che ritrae l'uomo che pensavano fossi io, non mi hanno chiesto neanche scusa. Mi ha salvato un grosso porro che ho sul volto». Pelato come Zullo, il vero poliziotto violento ha le sopracciglia nere, mentre l'agente vittima dello scambio di persona le ha bionde. «Due anni fa sono stato operato al cuore e non lavoro più nei reparti, ma all'ufficio colloqui. Ho sequestrato telefoni nascosti nel prosciutto, droga nella pasta, ma non credo che i detenuti abbiamo voluto vendicarsi». Sei carcerati lo hanno «riconosciuto», generando il drammatico errore. E Zullo è ancora sospeso. «Ma non ci voglio tornare al lavoro. Sono stato isolato, dai sindacati che parlano ai giornali neanche una chiamata. Solo uno di loro mi ha contattato. E il Dap non ha ancora ritirato la sospensione». Zullo tornò al lavoro il martedì seguente i pestaggi. «I colleghi dicevano tra loro che il giorno prima quelli di Secondigliano avevano esagerato. Ma adesso pagheranno solo gli agenti di Santa Maria, perché coloro che hanno commesso quelle azioni avevano il casco», conclude. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA