Carcere di Santa Maria Capua Vetere: «Picchiato dal provveditore in cella», detenuto smentito dai pm

In corso il processo sulle violenze in carcere nella famigerata cella zero

Un frame delle immagini di videosorveglianza
Un frame delle immagini di videosorveglianza
di Biagio Salvati
Martedì 11 Luglio 2023, 09:49 - Ultimo agg. 12 Luglio, 10:58
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Un'udienza difficile, dove un detenuto - tra i 14 denuncianti ed oggi parti offese - si "inventa" di aver visto il 6 aprile del 2020 nella cosiddetta "cella zero", quella delle presunte torture, un imputato eccellente: ovvero l'allora Provveditore delle carceri della Campania, Antonio Fullone che in quel giorno, però non c'era. È bastata questa breve testimonianza a far balzare dalle sedie l'accusa, ieri, al processo per i pestaggi dei reclusi avvenuti al carcere di Santa Maria Capua Vetere tre anni fa. La testimonianza del detenuto Ciro Esposito, tra i tanti «non ricordo» e un «abbaglio», potrebbe essere fatale per il castello accusatorio costruito nei confronti dei 105 agenti penitenziari. L'udienza di ieri ha cambiato nettamente registro del processo e potrebbe rivelarsi determinante sotto il profilo dell'attendibilità. Il primo dei detenuti "teste", parla della "cella zero", una cella dove «si fanno torture e che stava nel reparto Danubio e in cui sono stato portato e picchiato il 6 aprile. Fu uno choc», dice. Esposito faceva parte dei reclusi che per la Procura furono trasferiti dal reparto Nilo, quello delle violenze, al Danubio per l'isolamento in quanto ritenuti i più facinorosi.

Ieri il detenuto ha riferito della presenza di un poliziotto in borghese con bomber, ricciolini e occhiali, «che mi ha dato uno schiaffo dopo che gli avevo consegnato il cellulare, e che è entrato nella cella dove mi avevano portato: è Antonio Fullone ne sono certo perché è stato in passato il direttore di Poggioreale, dove io sono stato recluso». Dalle indagini della Procura è, però, emerso che il 6 aprile, al carcere di Santa Maria Capua Vetere, Fullone non c'era. Di fronte all'affermazione così netta, il sostituto procuratore Daniela Pannone e quindi l'aggiunto Alessandro Milita hanno chiesto più volte conferma al teste: «Sì», ha risposto il detenuto, visibilmente confuso, mentre si teneva la testa con le mani. «Perché in sede di sommarie informazioni non lo ha mai fatto il nome di Fullone?», ha chiesto la pm Pannone. «Perché volevo tenermelo per me» risponde Esposito.

A quel punto il procuratore aggiunto Milita si è alzato e, avvicinandosi ad Esposito al banco dei testimoni, gli mostra una foto raffigurante un agente che, all'epoca, identificò in colui che lo aveva picchiato quella volta: Lei - gli chiede il magistrato - dopo i fatti fu sentito e riconobbe in questa foto, che ha sottoscritto, l'agente Angelo Bruno?» E il teste risponde affermativamente lasciando la questione nel limbo.

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Per alcuni difensori, però, quello del teste «non è un errore di persona, perché ha parlato di Fullone come persona nota a tutti i detenuti», quindi facilmente riconoscibile, «per essere stato in passato direttore di Poggioreale» ma per l'accusa quel giorno non era presente. Un "giallo" che si cercherà di risolvere nel corso del processo. Per i pm, insomma, un'udienza che si svolge tra dubbi e "non ricordo" del teste, visibilmente provato dal suo stato di salute. Più volte, a motivare le sue incertezze, ha sottolineato che «sono passati più di tre anni dai fatti». In attesa del controesame, che si preannuncia tempestoso, proprio in riferimento alla erronea identificazione dell'ex direttore Fullone, dall'udienza non sono emersi elementi utili a chiarire i fatti in causa. Almeno fino a ieri. 

 

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