False accuse a Landolfi, l'ex boss La Torre a processo per calunnia a Cantone

False accuse a Landolfi, l'ex boss La Torre a processo per calunnia a Cantone
di ​Domenico Zampelli
Lunedì 23 Ottobre 2017, 13:15 - Ultimo agg. 13:50
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A giudizio per calunnia nei confronti dell’ex pm Raffaele Cantone - ora presidente dell’Anac, l’Autorità Anticorruzione - chiede la rimessione del procedimento, in pratica un trasferimento della sede in cui svolgere il processo, ma la Cassazione respinge l’istanza. Augusto La Torre, prima capoclan di Mondragone poi controverso collaboratore di giustizia, dovrà rispondere davanti al tribunale di Napoli di avere falsamente accusato Cantone di averlo sollecitato a formulare, nel quadro della sua collaborazione giudiziaria, accuse di «contiguità camorristica» nei confronti di Mario Landolfi, deputato e ministro delle comunicazioni nel terzo governo Berlusconi.

La Torre aveva richiesto alla Suprema Corte un provvedimento di rimessione che si verifica quando sussistono gravi situazioni locali, tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili, pregiudicando la libera determinazione delle persone che partecipano al processo. Più in particolare La Torre, nella sua voluminosa richiesta – per questo motivo redatta su di un compact disc – aveva reputato probabile, se non certo, che il giudice investito del giudizio dibattimentale nei suoi confronti «non riesca in così breve tempo a dimenticare le notizie rimbalzate tra tutte le maggiori testate e ai Tg nazionali e regionali che hanno dipinto il sottoscritto come un falso pentito e attentatore di un illustrissimo magistrato dell’Antimafia napoletana», mancando così l’indispensabile imparzialità nel giudizio.

La Torre aveva dichiarato di considerarsi «vittima di un trattamento discriminatorio a causa delle pesanti e gravi situazioni locali determinatesi da quando ha intrapreso la collaborazione con la giustizia», lamentando di essere continuamente indicato come boss e mai come collaboratore di giustizia.

Argomentazioni che non sono state accolte dalla settima sezione penale della Suprema Corte, presieduta da Giacomo Paoloni. Nella motivazioni della sentenza viene specificato che «le situazioni di pregiudizio genericamente paventate dal La Torre (per lo più integrate da emergenze e decisioni giudiziarie riguardanti la sua persona e delle quali egli intende fornire critica lettura) non possono in tutta evidenza giustificare una deroga al principio del giudice naturale precostituito per legge, non palesandosi ostacoli di sorta al corretto e sereno svolgimento nella sua sede naturale del giudizio attualmente pendente in fase dibattimentale nei confronti del richiedente». Gli ermellini chiariscono inoltre come «la richiesta di rimessione deve individuare e descrivere con precisione quale sia in concreto la grave situazione locale prefigurata in astratto dall’articolo 45 del codice di procedura penale, rappresentando in termini chiari e controllabili (e, dunque, non generici, né allusivi o meramente inferenziali) gli elementi di fatto e gli argomenti sui quali la richiesta possa trovare fondamento. Elementi, tutti, che non è dato riscontrare nell’odierna istanza rimessoria». Ricorso respinto, dunque, con la condanna di La Torre alle spese di giudizio e al versamento della somma di tremila euro alla cassa delle ammende.
 
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