A.K. Blakemore, le streghe son tornate: da Manningtree a Teheran

Il primo romanzo dell'apprezzata giovane autrice inglese

A.K. Blakemore
A.K. Blakemore
di Santa Di Salvo
Sabato 4 Novembre 2023, 08:00
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Passato Halloween con tutto il suo corredo folkloristico, delle streghe resta solo la citazione della fatidica notte a loro dedicata, neanche a giusta ragione. Ma l'amplissima letteratura «witch» continua a viaggiare tutto l'anno nelle storie, nelle leggende, negli incubi dei poeti. E delle poetesse, anche. Stavolta è A.K. Blakemore, apprezzata giovane autrice inglese, a cimentarsi nel suo primo romanzo pubblicato da Fazi (pagine 334, euro 18,50). Premiato come miglior esordio narrativo nel Regno Unito e finalista a due premi europei, Le streghe di Manningtree è un libro potente, espressivo, coinvolgente. Con pagine di grande suggestione che fanno rivivere l'«ordinario splendore» di un gruppo di donne oscure e perseguitate. Ma è anche un documento straordinario sul nostro presente, perché recuperando documenti originali, atti delle udienze, confessioni e processi, Blakemore smonta il castello dei meccanismi sociali di un potere che emargina e rende muti, che controlla e annienta le donne che vedono e parlano troppo, e sono dunque una minaccia per l'ordine sociale e l'autorità maschile.

Siamo a Manningtree, cittadina della contea dell'Essex, nell'anno di grazia 1643.

Infuria la guerra civile, il fervore puritano ha invaso il paese e dietro ogni angolo sembra nascondersi l'ombra di Satana e della dannazione. Insomma, potremmo essere a Teheran, oggi, a raccontare la stessa storia. A parlare in prima persona è Rebecca West, giovane protagonista realmente esistita, figlia della vedova Beldam, madre, donnaccia e compagna di bevute. Sono povera, dice di sé la ragazza. Ma quel che è peggio, aggiunge, sono anche diversa. Perché ha interesse per le cose ed è consapevole di sé. Sa osservare e ascoltare, è vigile e analitica, sensibile e audace. Le qualità che la condanneranno. A distrarla dallo spettro della precarietà e della miseria c'è solo la giovanile infatuazione per lo scrivano John Edes. Ma il suo turbamento, e quello di lui al solo sfiorarsi le mani, semina il dubbio di una lusinga del demonio. Perché, si sa, la Bibbia insegna che le donne sono soggette alla tentazione poiché dispongono di una volontà più debole degli uomini.

Sono piccoli, quasi impercettibili slittamenti progressivi, prima i rituali di divinazione, poi storie di infanticidio sussurrate a mezza voce, poi i battibecchi della madre scambiati per maleficio su un bambino che dice di avere gli incubi. Infine è soprattutto l'arrivo in città di Matthew Hopkins, il nuovo locandiere, figura storica, laurea a Cambridge e mentalità europea, a far precipitare gli eventi. Private degli uomini dall'inizio della guerra, senza nessuno che le controlli, che ci fanno madre e figlia tutte sole in una casa sulla collina? Una preda ideale. Giacché «quando le donne pensano da sole, pensano il male, così si dice». 

Si dice, e tanto basta. Miseria e pregiudizio vanno insieme, ben lo sa Rebecca che ha visto abbastanza sofferenza da sapere che «una mente malata è incline a inventarsi ogni genere di spettro». Lo sa pure la sua sfrontata madre Beldam (bella e dannata già nel nome), che «strega è l'offesa che affibbiano a chiunque fa succedere le cose, a chiunque porti avanti la storia». 

L'intenso racconto di grande qualità letteraria scandaglia l'animo di indagati e inquisitori, perché c'è un punto in cui tutto si confonde, in cui fascinazione e paura vanno insieme ed esasperano sia il ruolo di giustiziere sia quello della vittima. Un meccanismo infernale, questo davvero sì, in cui Blakemore mescola vicende reali e verosimili, con estratti dai processi che videro la condanna per stregoneria di circa duecento persone tra il 1644 e il 1646. Come scrive lei stessa in postfazione, «gli atti dei processi dell'Essex offrono una introspezione inestimabile - e commovente, credo delle paure, delle speranze, dei desideri e delle insicurezze delle donne che si guadagnavano da vivere ai margini della società e che altrimenti avrebbero vissuto senza avere una voce». Questo romanzo rende giustizia, almeno in parte, «al temperamento, all'umorismo, all'orgoglio che traspirano dai verbali delle loro vite e delle loro morti». A distanza di quattro secoli, esse sono ancora tra noi. 

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