Fabrizia Ramondino, scritti politici e corsari: lezioni di sopravvivenza

Ecco una nuova raccolta di suoi scritti a cura di Mirella Armiero

Fabrizia Ramondino
Fabrizia Ramondino
di Titti Marrone
Domenica 27 Agosto 2023, 08:00 - Ultimo agg. 28 Agosto, 08:11
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Tra i vicoli dei Quartieri Spagnoli, dove erano accasate molte organizzazioni extraparlamentari degli anni '60 e '70, nelle sedi politiche con le «riggiole» sconnesse affumicate da mille sigarette, Fabrizia Ramondino appariva come un ircocervo, una sorta di creatura mitologica. Sottile come un giunco, scattante, con lucidi capelli corvini, parlava con tono sommesso di timidezza, quasi scusandosi. Ma le sue parole pesavano e, in tempi in cui le «compagne» tacevano, relegate in ruoli ancillari, contavano. E reclamavano attenzione, dai maschi e da tutti. Con Giovanni Mottura e Enrico Pugliese, intorno al tavolo di casa sua Fabrizia aveva fondato nel 1969 il gruppo politico più originale e attento alle ragioni degli ultimi del Sud, il Centro di coordinamento campano. Lì in una miriade di documenti, saggi, volantini, articoli sarebbe emersa la sua prima scrittura nota, quella politica. Seguita, quattro anni dopo l'inchiesta sui disoccupati organizzati a Napoli, dal romanzo Althénopis dove la sua strabiliante scrittura letteraria, sorprendendo molti, sarebbe venuta alla luce con un timbro inscrivibile nel solco di Anna Maria Ortese ed Elsa Morante.

Ora arriva una nuova raccolta di suoi scritti, a dimostrarci come le «due Fabrizie» fossero in realtà sempre la stessa, una chimerica creatura incapace di dar peso a potere o denaro, una «socialista anarchica pragmatica» che concepiva politica e letteratura e vita al servizio dell'idea militante per cui «tutti quanti insieme dovevamo, per così dire, salvarci». Il librino s'intitola Modi per sopravvivere Gli scritti politici, è curato da Mirella Armiero, introdotto da Goffredo Fofi, ha una nota di Enrico Pugliese (Un modo diverso di fare politica) ed esce il 5 settembre da e/o (pagine 240, euro 14). 

Alcuni scritti apparvero su «Il Mattino» nel periodo in cui curavo la pagina letteraria, e ricordo come Fabrizia li limasse, li sorvegliasse fino all'ultimo prima della pubblicazione.

Spesso la lunghezza, poco compatibile con gli spazi del quotidiano, era un problema, come lo era convincere l'autrice che la composizione tipografica non prevedeva l'uso dell'alfabeto greco per i suoi coltissimi testi che includevano parole come «thaumadzein». A rileggerli oggi, ne risulta lampante la rispondenza con aspetti tuttora decisivi della realtà non solo napoletana. E s'impone il dato che mostra Fabrizia Ramondino come importante «classico» e testimone novecentesco, non solo letterario.

Mentre si discute di salario minimo e dignità del lavoro violata, ci viene incontro una sua definizione folgorante, quella di «proletariato marginale», più pertinente dell'altra di «sottoproletariato» («lunpenproletariat»), abusata nel lessico dell'epoca con intonazioni negative perché riferita a ladri, prostitute, persone che vivevano di espedienti. Lei la coniò riferendola ai lavoratori al nero e a domicilio nei guanti, nelle scarpe, nell'industria conserviera Cirio. Oggi possiamo estendere la sua definizione di «proletariato precario» ai rider, ai titolari di contratti a termine nei call center, ai lavoratori dei campi. A chi aspira, se non al «posto stabile e sicuro» vagheggiato dai disoccupati organizzati, a una minore precarietà: «rivendichiamo il diritto di essere operai», dicevano nelle interviste a Fabrizia quelli del primo comitato di vico Cinque Santi.

In particolare nell'inchiesta che le venne suggerita da Fofi, Fabrizia parlò di dignità del lavoro, dando voce a Elvira che «andava a raccogliere la parietaria sui muri per una ditta svedese» e a tanti altri. Indicò gli errori ahinoi anch'essi attualissimi della sinistra, denunciò «l'illusione di un capitalismo sano che risolva i problemi del Sud».

Un altro tema che mostra lo sguardo lungo di Fabrizia è la guerra. La sua idea di «pace preventiva», in articoli usciti su «Il Mattino» e «il Manifesto» a proposito del conflitto nell'ex Jugoslavia, oggi suona come una preveggenza. Evocativa del reale è poi la sua confutazione di Napoli come «città terziaria». Per lei, a connotarla sono piuttosto l'assenza di prospettiva per i giovani e la «miseria spirituale e politica».
Ma da questi scritti emergono anche sprazzi del privato di Fabrizia Ramondino noti a pochi: di quando, ragazza, fece il doposcuola ai figli della cameriera di sua madre, esperienza fondativa per il suo impegno educativo e per la costituzione dell'Arn; di quando, con Vera Maone e altri giovani, prese una sede a Bagnoli e cominciò l'intervento all'Italsider, «attività politica a cui dedicare tutto il tempo libero». E dopo il ricordo del giovane compagno che lasciò l'impegno perché preferiva leggere Stendhal, Fabrizia annota: «Se allora avessi detto che scrivevo poesie, la cosa sarebbe stata presa malissimo». Fortuna che non si fermò, continuò con versi e pagine letterarie che avrebbero svelato a tutti il suo talento prezioso, a lungo nascosto. 

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