Il cervello, la follia e la responsabilità dell'uomo: l'anatomia della mente

La presentazione del libro di Antimo Cesaro

Il cervello, la follia e la responsabilità dell'uomo: l'anatomia della mente
Il cervello, la follia e la responsabilità dell'uomo: l'anatomia della mente
Mercoledì 20 Dicembre 2023, 15:09 - Ultimo agg. 15:15
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Pubblichiamo per gentile concessione dell’editore Artetetra un estratto del libro di Antimo Cesaro “Caput Mortuum. Anatomia della mente e disciplinamento sociale”, realizzato con il contributo del Dipartimento di Scienze politiche dell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli nell’ambito del progetto sulla frenologia ‘FREIT’.

Di crani s’intendeva molto il famoso medico alienista Biagio Gioacchino Miraglia (1814-1885), cosentino di nascita e napoletano d’adozione, l’ultimo frenologo italiano.

Per lunghi anni, a partire dal 1842, impegnato sul ‘campo’ all’ospedale psichiatrico di Aversa, in una sovrapposizione di rapporti tra corpo e anima, physique et moral, anatomia ed etica, il medico cosentino si era convinto, attraverso una ferma adesione al verbo frenologico, di poter giungere all’elaborazione di una teoria regolativa dei comportamenti del singolo uomo e dell’intera società. E ciò anche in conseguenza di una completa inversione del punto di osservazione delle funzioni mentali e delle qualità morali, passato dal piano della speculazione metafisica e dell’analisi introspettiva a quello dell’osservazione anatomica e comportamentale. Erano queste le premesse per quello che Joseph Vimont definì “lo studio scientifico dell’anima” inaugurato da Franz Joseph Gall (1758-1828), il padre dell’organologia, la scienza che avrebbe consentito di fondare su certezze (osservabili e verificabili) ciò che la metafisica poteva solo limitarsi a supporre. Postulando il carattere innato dell’organizzazione cerebrale, la presenza nel cervello di specifiche aree corticali (correlate ad altrettante distinte facoltà) e il cranio come stampo anatomico di queste (dalle cui evidenze è possibile rivelare le inclinazioni degli individui), il passo era breve per giungere a ipotizzare un’efficace azione di profilassi morale che, scientificamente guidata dall’analisi delle tendenze e delle capacità individuali, si fosse rivelata idonea a migliorare i destini di una comunità.

Appare allora evidente che la frenologia, insinuando il dubbio su quale fosse la scienza (e la connessa istituzione) in grado di farsi consapevolmente carico dei destini di una comunità, aveva l’ambizione non tanto e non solo di gettare le basi di un rivoluzionario sapere, quanto, piuttosto, di porsi a fondamento di un nuovo potere. La ricerca dei caratteri biologici dei singoli Paesi, fu una passione che, alimentata dall’esplodere dei nazionalismi fin de siècle, accanto ai dubbi scientifici sull’effettiva possibilità di delineare modelli fenotipici nazionali, rischiava di rivelarsi potenzialmente deleteria per le pericolose implicazioni ideologiche che poteva comportare. Altro aspetto delle teorie organologiche che pure sollevò scandalo e perplessità riguardò la paventata eventualità di un’intrusione dei metodi fisiologici nella scienza dell’educazione. La nuova dottrina non mancava infatti di esaltare, sul presupposto di saper decifrare il geroglifico psicologico (Gall) di ogni individuo, la sua intrinseca vocazione pedagogica, proponendosi di migliorare i destini di una nazione attraverso il continuo allenamento o la forzata inattività dei differenti organi cerebrali dei suoi cittadini.

Di conseguenza, ci fu chi - come Beaunaiche-La Corbière - suggerì di sottoporre a cranioscopia tutti gli aspiranti a cariche pubbliche. Fortunatamente, nella seconda metà del XIX secolo, in misura direttamente proporzionale agli sviluppi della nuova fisiologia cerebrale, pur continuandosi a rendere omaggio alle significative conquiste anatomiche di Gall, si assistette a una progressiva sfiducia sulle potenzialità della dottrina frenologica, sempre più spesso accostata alle false scienze. Il mondo psichiatrico, in sostanza, comprendeva la necessità di dotarsi di nuove, meno pretenziose e più sicure fondamenta epistemologiche. Malgrado ciò, la persistente popolarità della pratica cranioscopica favorì lo sviluppo di un ampio dibattito culturale che non tardò a dispiegare significativi riflessi dal piano etico (astratto) alla dimensione giuridica (concreta), anche in considerazione dei diffusi processi di codificazione che interessavano vari Stati d’Europa.

I temi filosofici della libertà morale e del libero arbitrio si tradussero repentinamente in delicate questioni procedurali relative alla imputabilità e alla colpabilità del reo, all’apprezzamento delle circostanze attenuanti e scagionanti, alla valutazione della colpa e alla quantificazione della pena. In quali forme la dimensione giuridica fosse in grado di accogliere le nuove interpretazioni di vizio di mente e alienazione o l’originale categoria della pazzia ragionante, fu (ed è) tema di non facile trattazione. Consapevoli che la vita del diritto non si arresta mai, nutriamo la speranza che molte delle questioni approfondite, senza alcuna pretesa di esaustività, nei due capitoli del volume ‘Caput mortuum. Anatomia della mente e disciplinamento sociale’ possano contribuire a ravvivare un dibattito su temi (incidenza della patologia cerebrale sul comportamento deviante, genesi dell’impulso distruttivo e auto-distruttivo connaturato all’uomo, teoria organicistica della follia, ecc.) che hanno concorso ad ammodernare - non senza errori e grossolani abbagli - lessico e contenuti dell’esperienza giuridica, delle scienze sociali e della pratica psichiatrica.

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