Alessandro Manzoni e Il Natale del 1833: i versi mai completati per la morte della moglie

Valerio Rossi mette a confronto la poesia incompleta con le altre poesie natalizie dell'autore dei Promessi sposi

Alessandro Manzoni
Alessandro Manzoni
di Francesco Mannoni
Martedì 19 Dicembre 2023, 07:00 - Ultimo agg. 20 Dicembre, 07:34
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«Sì che tu sei terribile/ sì che in quei lini ascoso/, in braccio a quella Vergine/ sovra quel sen pietoso/ come da sopra i turbini/ regni, o Fanciul severo! /È fato il tuo pensiero/è legge il tuo vagir». Sono i versi iniziali, in uno stile ormai lontanissimo dal comune sentire, di una poesia intitolata «Il Natale del 1833» che Alessandro Manzoni iniziò a scrivere dopo essere stato visitato «terribilmente» da Dio come scrisse al granduca di Toscana Leopoldo II, ricordando il giorno, il 25 dicembre 1833, in cui morì la moglie Enrichetta Blondel. Ma quella poesia non riuscì mai a finirla. Il dolore per la perdita dell'amata lo bloccava, il tumulto della poesia lo angosciava e le parole gli sfuggivano. La storia della letteratura non rimpiange certo quei versi mancanti, che, però, sono importanti, per la storia manzoniana.

Quella poesia ora torna in un volumetto Il Natale del 1833, a cura di Valerio Rossi, con prefazione di Mauro Novelli, che la mette a confronto con altre poesie natalizie dell'autore dei Promessi sposi, con «altri scritti» tra cui la struggente lettera al granduca di Toscana, e uno dei capitoli del romanzo di Mario Pomilio, intitolato anch'esso Il Natale del 1833, Premio Strega nel 1983, sullo strazio del grande scrittore. 

«Il Natale del 1833 è senza dubbio un punto di svolta per Manzoni», racconta Alessandro Zaccuri, autore qui della postfazione: «Quando si dice che è lo scrittore della Provvidenza, si dice una mezza verità.

La Provvidenza per lui era più un mistero su cui interrogarsi che una risposta con cui liquidare qualsiasi obiezione. La morte della moglie Enrichetta lo obbligò a confrontarsi direttamente con quello che rimane il grande dilemma della sua esistenza e della sua opera. La poesia resta incompiuta non per mancanza di concentrazione, ma perché presuppone una soluzione che Manzoni non riesce a trovare».

Già negli Inni sacri il Natale era descritto come un momento drammatico: se Dio si fa uomo per redimere l'umanità, è perché il peccato ha causato una frattura talmente enorme da essere altrimenti irreparabile. Quel progetto poggiava sulla volontà di indagare più a fondo l'elemento teologico che caratterizza le diverse ricorrenze. Il Natale non faceva per lui eccezione, anzi: era il punto di partenza indispensabile per misurarsi con il mistero dell'Incarnazione.

«Il Natale del 1833 è rimasto allo stato di abbozzo e la sua incompiutezza ci permette di apprezzare meglio Manzoni poeta, che tende solitamente a nascondere la sua inquietudine sotto una struttura formale fin troppo rifinita per i nostri gusti. In quei versi incompleti le contraddizioni rimangono invece in evidenza», puntualizza Zaccuri, anche se la sensibilità manzoniania rimane lontana anni luce da quella moderna.

Nella lettera al granduca di Toscana Leopoldo II lo scrittore descrive i suoi sentimenti dopo la morte di Enrichetta, fornendo più indizi che soluzioni. Il romanzo di Mario Pomilio prova, invece a usare quel dramma come lo specchio di un dramma ancora più vasto, che è quello di ogni essere umano al cospetto della morte: «Il Natale del 1833 di Pomilio è un componimento misto di storia e di invenzione, la sua fedeltà a Manzoni sta anzitutto in questa scelta di metodo», continua il postfatore, che racconta l'autore come un uomo del suo tempo, sensibile alle grandi questioni geopolitiche di un'epoca tumultuosa: l'Impero napoleonico, la lotta per l'Unità d'Italia, il conflitto fra Stato e Chiesa. Quando uno scrittore si interessa della realtà, il modo migliore per rendergli omaggio consiste nell'interessarci alla realtà che lo circonda» conclude il giornalista. Che eviterebbe la vexata quaestio sul Manzoni credente autentico o cattolico laico: «Un cattolico laico è un credente autentico, proprio perché non confonde la fede con la credulità. Il giudizio durissimo che Manzoni riserva a ogni forma di superstizione è la prova più evidente di quanto fosse radicata in lui l'adesione al Vangelo. Ai suoi tempi fu accusato di non essere abbastanza cattolico, ma per fortuna era cattolico abbastanza per non curarsi di simili pregiudizi». 

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