Rocco Scotellaro, cento anni dalla nascita: la questione meridionale secondo il poeta-contadino

Il saggio dello storico della letteratura Marco Gatto prova a rendere giustizia al volto più politico del poeta-contadino

Rocco Scotellaro
Rocco Scotellaro
di Ugo Cundari
Martedì 18 Aprile 2023, 07:00 - Ultimo agg. 17:21
4 Minuti di Lettura

Rocco Scotellaro? Non fu solo poeta-contadino. Nel doppio anniversario - domani cadono i cent'anni dalla nascita e il 15 dicembre i settanta dalla morte - arriva in libreria un saggio che prova a rendere giustizia al suo volto più politico: Rocco Scotellaro e la questione meridionale (Carocci, pagine 252, euro 19) dello storico della letteratura Marco Gatto, convinto che sia arrivato il momento di «ripoliticizzare Scotellaro» scrostandogli di dosso l'immagine falsa «dell'intellettuale marmoreamente attaccato alla cosiddetta civiltà contadina (e alla sua supposta autonomia), un'immagine tornata prepotentemente in auge nell'epoca della nuova reificazione del Sud e del suo passato, tra nuovi meridionalismi, banali paesologie, fuorvianti pensieri meridiani».

Per evitare che «la sua poesia divenga una merce fra le altre o, peggio, il brand di una supposta genuinità espressiva», è necessario «in tempi di banalizzazione della questione meridionale, di neoborbonismo risorgente, di semplificazioni storiografiche, di falsa democratizzazione della vita culturale, di riduzione del Meridione a un safari vacanziero, difendere Scotellaro dai suoi ammiratori».

Altrimenti si cade nelle «posticce mitizzazioni» che lo hanno omologato in una visione «ristretta, perfino romantica, del suo agire».

Nei suoi trent'anni di vita Scotellaro ricoprì come incarico pubblico solo quello di primo cittadino (socialista) del suo paese, Tricarico, dal 1946 al 1950. Poi fu accusato di concussione, truffa e associazione a delinquere e incarcerato per 45 giorni. Assolto con formula piena per non aver commesso il fatto, inventato dagli avversari politici, rimase talmente amareggiato da decidere di fare politica altrove, andando a lavorare, su invito di Manlio Rossi Doria, all'Osservatorio agrario di Portici dove condusse ricerche e inchieste sulle condizioni di vita dei contadini.

Scotellaro aveva la grande dote del mediatore, che in lui, figlio di un calzolaio e di una sarta, si concretizzò nella comprensione dei fenomeni sociali e culturali più alti pur rimanendo saldo con i piedi nella terra dei contadini, per coglierne le reali esigenze e rappresentarle politicamente nel modo più giusto. A differenza di chi nel dopoguerra rimase affascinato dalla presunta magia del Meridione, dal primitivismo così suggestivo delle sue genti, indagò con spirito illuminista le condizioni di vita dei contadini individuando sfumature e zone d'ombra di «un mondo perennemente in movimento, per nulla immobile e per nulla lontano dai processi della grande storia, fatto non solo di miseria oggettiva, ma anche di sforzi individuali, che a quella miseria offrono contraddittorie e ambigue risposte, cui l'intellettuale deve dare il debito senso».

A creare un Sud mitico erano «i sociologi di classe», capaci di progettare a tavolino contenitori e schemi per poi adattarli a un Mezzogiorno dove, dopo il romanzo di Carlo Levi, tutti erano convinti che Cristo, ossia la storia, non fosse arrivato, immagine poeticamente suggestiva ma lontana dalla verità. Marco Gatto cita una lunga lettera del 1951 inviata a Pietro Ingrao, allora direttore de «L'Unità», in cui Scotellaro si pose come principale obiettivo «un'accresciuta consapevolezza politica» dei problemi dei lavoratori e sottolineò che i suoi versi erano scritti da lui insieme ai contadini, il che dimostra quanto nella sua pratica quotidiana sentisse il dovere di prendere parte alla costruzione di una identità contadina diventando uno di loro, e non studiandoli da lontano, come uno scienziato che osserva sotto il vetrino forme di vita a lui estranee.

«Scotellaro ha avuto il grande merito di restituire una rappresentazione del Meridione più complessa e articolata, con i contadini che formavano un gruppo sociale composito nel quale si agitavano diverse ideologie non tutte manovrabili dal Partito comunista. La cultura contadina non era fuori dal tempo e dalla storia e andava studiata con strumenti di indagine molto sofisticati, quelli adoperati per esempio in tempi recenti dal compianto Alessandro Leogrande, altrimenti ci ritroveremo sempre con un Sud asservito alle logiche della spettacolarizzazione a ogni costo, che fanno comodo anche a certi meridionalisti che si occupano più di poetica che di politica», conclude Gatto. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA