Javier Castillo a Salerno Letteratura: «Vi racconto il male in tutte le sfumature»

«Prima di fare lo scrittore ero un consulente finanziario. Giorno e notte davanti a un foglio Excel»

Javier Castillo
Javier Castillo
di Ugo Cundari
Lunedì 19 Giugno 2023, 07:00 - Ultimo agg. 16:05
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Considerato il re del thriller spagnolo, Javier Castillo prima ancora che dalla critica o da un editore è stato scoperto dai lettori. Il suo primo romanzo lo ha pubblicato nove anni fa in self publishing su Amazon e in pochi giorni ha venduto 40.000 copie. Poi si fecero avanti gli editori. Oggi Castillo ha venduto nel mondo più di cinque milioni di copie ed è in Italia per presentare il suo ultimo romanzo, Il gioco dell'anima (Salani, pagine 384, euro 19,90, traduzione di Elena Rolla), sabato a Napoli e ieri a «Salerno letteratura». Dopo La ragazza di neve, da cui è stata tratta una serie Netflix, torna la trentacinquenne giornalista investigativa Miren Triggs dal passato tragico e anche stavolta si occuperà di un caso orrendo. Qualche giorno dopo la crocifissione di una ragazza, alla giornalista arriva la lettera di uno psicopatico con la foto di una adolescente imbavagliata e la scritta «Vuoi giocare?».

Castillo, chi è Miren Triggs?
«Una donna complessa che si sente un po' persa e vorrebbe trovare risposte alle domande che la tormentano da quando è stata stuprata.

Sembra molto fragile e dà l'idea di poter crollare da un momento all'altro ma poi riesce sempre a reagire e a trovare una forza inaspettata. Il romanzo si apre con lei che sta scappando da un uomo: mentre pensa di stare sul punto di morire reagisce e si salva».

Come è cambiata rispetto al romanzo di esordio?
«È più matura, ha capito che la vita impone continue metamorfosi e a lei tocca dimenticarsi di chi è stata prima della violenza subita, inutile cercare di tornare indietro nel tempo. Nel romanzo è molto presente la croce, che è il simbolo del sacrificio di una parte di sé: solo così potrà salvarsi dai demoni che la tormentano».

Ci sarà un terzo romanzo con Triggs protagonista?
«In Italia arriverà l'anno prossimo e sarà il capitolo conclusivo. Miren troverà finalmente la sua pace».

La uccideranno?
«Meglio non svelare troppo».

Perché come protagonista dei suoi thriller ha scelto una giornalista e non una poliziotta?
«Io amo leggere i giornali e sono uno di quelli che ne comprano quattro o cinque ogni mattina. Negli ultimi anni ho notato che il giornalismo investigativo sui casi di cronaca si stava appiattendo sul sensazionalismo, si limitava a rappresentare la banalità della sofferenza di chi aveva subito del male e dunque dava una idea banale anche del male. Invece credo che il male vada raccontato in tutte le sue sfumature per darne una giusta rappresentazione e così ho scelto che questa battaglia la doveva portare avanti la mia Miren».

Pensa a qualche caso in particolare?
«Tutti quelli in cui un giornalista, di fronte a una persona in lacrime, chiede: Cosa sta provando? Se volesse davvero capire, e far capire ai suoi lettori o telespettatori, dovrebbe andare nei posti dove non ti fanno entrare, fare domande cattive non a chi ha subito il male ma a chi non l'ha combattuto».

Mira ha pubblicato un romanzo sulla sua prima inchiesta, ha ricevuto un milione di dollari di anticipo, ha fatto presentazioni super-affollate ma, ammette, «è incapace di godersi il successo». Lei lo è?
«Prima di fare lo scrittore ero un consulente finanziario. Giorno e notte davanti a un foglio Excel. Poi ho trovato la mia fortuna scrivendo e da allora mi godo il successo, certo. Non mi piace essere fermato per la strada ma, come Mira, adoro condividere sensazioni e stati d'animo con il mio pubblico durante le presentazioni».

Scriverà mai storie non ambientate negli Stati Uniti?
«Di solito rispondo sempre no a questa domanda ma Napoli mi ha colpito come non avrei mai pensato, soprattutto nel suo rapporto con il calcio. Ho percepito un amore uguale solo a quello che ho colto a Buenos Aires, e sto prendendo appunti. Vedremo cosa ne uscirà. Ho qualche speranza». 

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