Sebastiano Vassalli e il caso Tortora: il progetto mai nato

Le annotazioni ritrovate tra le carte dello scrittore nella sua casa di Novara

Sebastiano Vassalli
Sebastiano Vassalli
di Francesco Mannoni
Venerdì 22 Dicembre 2023, 07:00 - Ultimo agg. 23 Dicembre, 13:09
4 Minuti di Lettura

C'è un libro che Sebastiano Vassalli (Genova, 25/10/1941 Casale Monferrato, 26/07/2015), forse, voleva scrivere, in qualche modo tornando sul tema affrontato in La chimera, che nel 1990 vinse il Premio Strega e il Premio Napoli, raccontando la storia della giovane Antonia, presunta strega di Zardino nel Novarese, che nel 600 fu arrestata dall'Inquisizione, torturata, processata e condannata innocente al rogo. Una vicenda che gli era tornata in mente pensando al caso di Enzo Tortora (Genova, 30/11/1928 Milano, 18/05/1988), definito da Giorgio Bocca «il più grande esempio di macelleria giudiziaria all'ingrosso del nostro Paese».

Lo conferma la cartella ritrovata fra le carte dello scrittore nella sua casa di Novara, con una annotazione manoscritta che ne spiega il contenuto, e che ha ispirato ora il volumetto «Affaire Tortora» (Interlinea, pagine 80 pagine, euro 14).

Vassalli raccolse documenti giudiziari, il libro bianco con cui i radicali denunciarono la falsità delle accuse al conduttore, centinaia di ritagli di giornali, note e spunti per un possibile romanzo o saggio. Il presentatore, incarcerato all'apice del successo di «Portobello», trasformato nell'uomo «che riassume tutte le peggiori infamie: camorrista, trafficante di droga per conto della Nco e in proprio, sottraendo alla sua organizzazione un quantitativo di cocaina del valore di 40 50 milioni», per Vassalli era «un caso italiano di ingiustizia e odio».

«Vassalli, che conoscevo personalmente, non ha mai accennato all'intenzione di scrivere un libro su Tortora», racconta Massimo Novelli, curatore del libretto, «ma è possibile, il fatto lo colpì moltissimo. Come Leonardo Sciascia che scrisse a caldo L'affaire Moro, lui, da scrittore attento ai temi civili in molti dei suoi libri, avrebbe potuto benissimo farlo, sia sotto forma di romanzo che di saggio. Il lavoro preparatorio dimostra che il suo interesse non era episodico».

La stampa all'epoca, in generale, diede ampio risalto all'arresto e al processo, ma pochi giornali difesero Tortora: «Tortora non era un uomo di sinistra e questo, nella cultura dell'epoca, proprio per la grande popolarità del personaggio, indusse molti giornali a schierarsi in modo assolutamente acritico sulle posizioni della magistratura di Napoli prendendo per buone le dichiarazioni di un falso pentito, come Pandico, e poi Barra 'o animale, Melluso, Gianni il bello e altri compagni chiacchieroni. Sicuramente ci fu un atteggiamento di totale prevenzione e chiusura su Tortora, perché, come dice lo stesso Vassalli nell'intervista che fece al conduttore per L'Europeo dopo l'assoluzione, era un personaggio che aveva successo e dava fastidi», continua Novelli. 

Ritenuto colpevole da Camilla Cederna, innocente da Enzo Biagi, Indro Montanelli, Giorgio Bocca e Vittorio Feltri: «Era molto facile in quegli anni prendere delle posizioni di pancia che attivavano campagne stampa assolutamente irrazionali, folli. Forse la Cederna si lascio trascinare come altri dalla sponda dei colpevolisti, mentre vecchi volponi come Bocca, Biagi, Montanelli e Feltri - pur di differenti posizioni politiche e diversa formazione culturale - furono più attenti. Leggendo il materiale conservato da Vassalli, mi ha colpito quello che scrisse un intellettuale del rigore di Beniamino Placido nelle sue rubriche su Repubblica: irrideva apertamente il presentatore per delle accuse di colpevolezza che lette oggi, appaiono inverosimili», ricorda il curatore, sottolineano il ruolo dei cosiddetti pentiti. «Bastava un presunto collaboratore di giustizia, fra l'altro screditato e ontologicamente mendace, come Pandico che Vassalli nella glossa aveva appuntato come Pluriomicida, e nel cui curriculum delinquenziale c'è anche un tentativo di avvelenare la madre, per incriminare chiunque. La politica e anche gli intellettuali - rimasero indifferenti. Uno dei pochi che accettò di firmare l'appello dei radicali per Tortora, fu il magistrato e storico Alessandro Galante Garrone, andando controcorrente rispetto a tanti altri. È una pagina nera, vergognosa, che si aggiunge alle centinaia di misteri della nostra storia repubblicana e fa venire in mente Il caso Calas di Voltaire. Nel tempo, poi, l'affaire Tortora, è diventato patrimonio di una parte politica e spesso usato per attaccare, in generale, la magistratura. Altro grave errore», conclude Novelli. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA