Anche a Napoli «Il fattore umano», docufilm di Gatti sullo spirito del lavoro: tra i protagonisti, il Rione Sanità e il suo riscatto

Anche a Napoli «Il fattore umano», docufilm di Gatti sullo spirito del lavoro: tra i protagonisti, il Rione Sanità e il suo riscatto
di Donatella Trotta
Domenica 2 Dicembre 2018, 16:00
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L’Italia unita dalla grande bellezza del lavoro ben fatto. Dove il senso di (cor)responsabilità - ma anche l’amore per ciò che si fa, e per come lo si fa - accomuna, da nord a sud, giovani e anziani, umili operai e capitani d’azienda, creativi e artigiani, agricoltori e industriali, ricercatori scientifici e inservienti disabili, start-up innovative e aziende centenarie capaci di riconvertirsi. È molto più di un pregevole docufilm controcorrente «Il fattore umano. Lo spirito del lavoro», documentario realizzato dall’autore milanese Giacomo Gatti - regista, docente universitario e giornalista, già aiuto regista di Ermanno Olmi – con lo sceneggiatore Elia Gonella che, dopo il debutto alla Festa del Cinema di Roma il 22 ottobre scorso al Farnese e due proiezioni successive al Festival GLocal di Varese e a Milano, il 12 novembre, è approdato l’altra sera al Modernissimo di Napoli, per una proiezione-evento a sostegno del Rione Sanità: non a caso, tra i protagonisti delle storie corali raccolte nel film.

La proiezione della pellicola è stata promossa da Inaz (Osservatorio Imprese Lavoro, che ha prodotto il film in collaborazione con Fondazione Ente dello Spettacolo, Festa del Cinema di Roma e Fondazione del Cinema per Roma con il patrocinio della Federazione nazionale dei Cavalieri del Lavoro e la consulenza scientifica di Marco Vitale) e dalla Fondazione di Comunità San Gennaro, in collaborazione con Luciano Stella, che ha accolto i numerosi ospiti e diversi protagonisti tra i quali il regista, padre Antonio Loffredo, Marco Vitale e Linda Gilli, presidente e amministratore delegato di Inaz che, in apertura e durante il dibattito finale, ha spiegato la genesi del film: nato inizialmente per celebrare i 70 anni dell’Inaz raccontando il mondo del lavoro «da una prospettiva diversa dalle ricorrenti immagini negative con cui questo mondo viene spesso rappresentato al cinema»; ma, poi, trasformatasi in un avvincente (e sorprendente) viaggio attraverso una quindicina di realtà lavorative italiane di eccellenza tutt’altro che esclusive o rare, ma poco conosciute nel loro essere paradigma del valore della dignità: quando al centro del lavoro c’è l’uomo, custode del creato e della creatività, e la coesione sociale frutto di relazioni umane autentiche e significative, ossia capaci di generare un capitale sociale che viene prima del profitto, e può fare la differenza nel suo valore aggiunto.

Un made in Italy insomma dai tanti diversi volti che, in dieci capitoli, viene raccontato nel film cogliendo appunto «quello che ci rende uomini». Nel ciclo della natura come nelle fabbriche e negli uffici. Nelle piccole imprese a conduzione familiare come nelle rivoluzioni sociali portate avanti con lungimiranza, fantasia e coraggio in quartieri esposti al disagio (come il Rione Sanità a Napoli, appunto), dove la "guerra" quotidiana è "con la vita", e il riscatto delle cooperative sociali di gestione dei beni culturali del territorio, nate dalla visione eutopistica del parroco “ciclone” Loffredo, diventa allora una realtà di speranza. Da tutelare e implementare. Lo sguardo empatico ma anche (est)etico di Gatti non scivola mai nella retorica, quando fissa negli occhi testimonianze in prima persona che riescono a commuovere, divertire, colpire lo spettatore nella loro spontaneità, mai intaccata dal filtro della macchina da presa. Come quando la giovanissima inserviente Down che lavora in un ospedale romano attiguo ad una importante unità di ricerca (che utilizza l’alta tecnologia applicata alla ricerca scientifica per creare arti artificiali capaci di conservare il tatto e il più possibile funzionali a quelli perduti da pazienti amputati) ti dice, mentre rassetta il letto di un paziente con allegra fierezza e operosità, che il lavoro si deve fare «con il senso». O come quando un appassionato meccanico senior di un’azienda che produce trattori accarezza con malcelata soddisfazione una saldatura fatta a mano e, percorrendola delicatamente con le dita, te ne decanta la perfezione, quasi come fosse un merletto ricamato a tombolo o un’opera d’arte.

Dalle frese di alta tecnologia di una fabbrica umbra alla squisitezza dei prodotti della terra e del lavoro dell’uomo, nel film scorrono visi che abitano con il corpo, la mente e il cuore paesaggi (e comunità) variegati: dai filari di viti delle montagne trentine alle strisce di pasta stese ad asciugare nei pastifici della Valle dei Mulini di Gragnano, e dalle strisce a fumetti di una casa editrice specializzata a Milano (che per ogni storia settimanale impiega un anno di impegno di squadra) alle reti dei pescatori della Costiera sorrentina, distrutte dai rifiuti che dinfestano il mare ma recuperate con intelligenza da aziende del nord che, in una vera economia circolare, le riciclano trasformandole in altro. «Sono solo quindici storie positive selezionate tra tante», si rammarica il regista, «ma non “buoniste”, ovvero alla rincorsa di uno stucchevole happy end che sembra precluso dal racconto del mainstream comunicativo, in cui a emergere a vari livelli  - aggiunge Gatti - sono semmai le ombre, più che le luci del mondo del lavoro. Ogni piccola o grande storia raccontata è stata infatti una scoperta, la cui chiave di lettura è che qualunque impresa non è solo profitto ma sviluppo, cultura, creatività, ponte verso il futuro da costruire insieme, nel rispetto dell’ambiente, della società, e soprattutto dell’uomo. E in un’epoca in cui la finanza e le nuove tecnologie sembrano scalzare il fattore umano dal centro dell’economia, la nostra convinzione – prosegue il regista - è che esistano uomini e donne capaci di fare la differenza: perciò nel film il lavoro è raccontato anche attraverso l’aspetto emozionale, attraverso la sua bellezza che spesso viene dimenticata. Sono le mani e i cervelli, i sogni e le competenze reali delle imprese italiane ad essere protagoniste del documentario, e le loro storie meritano di essere raccontate attraverso il linguaggio del cinema».

Tra queste storie, il nono capitolo racconta anche quella di Padre Antonio Loffredo, parroco/imprenditore coraggioso che, testa e cuore rivolti al cielo e piedi ben piantati per terra, ha offerto un’alternativa concreta (rispetto alla strada, e alla devianza) a tanti giovani disoccupati del Rione Sanità di Napoli, rigenerando a piccoli passi un quartiere mortificato e gestendo – fra il resto – la riapertura delle Catacombe di San Gennaro che hanno attirano 100mila visitatori in un anno. «Il film ribalta i cliché di una letteratura che ci parla del lavoro in modo solo negativo, come sofferenza o fatica, dimostrando che è anche creatività, e sfata anche lo stereotipo che demonizza le tecnologie mostrandone l’utilità per migliorare la qualità della vita umana», commenta l’economista d’impresa lombardo Marco Vitale, consulente scientifico del film. «Sono storie italiane che oggi più che mai è necessario valorizzare – conclude Linda Gilli – perché narrano ed esemplificano, con la potenza delle immagini e la testimonianza dei protagonisti, la passione per il lavoro e lo spirito per viverlo come realizzazione del genio umano. Il film è un viaggio alla scoperta della bellezza spesso nascosta dell’Italia che ogni giorno innova, trova una nuova sintesi con la tradizione, offre occupazione e crescita, sa rispettare e promuovere l’ambiente, rende protagonisti i giovani. Un documentario appassionante che mostra i sogni realizzati di chi considera il lavoro non come un culto ma come cultura, e valorizza l’impegno di imprenditori che non riducono il lavoro al modo per procurarsi ricchezza ma lo considerano come via per ricostruire comunità, dare dignità, offrire futuro al Paese».

Già. Anche per questo, sarebbe auspicabile promuovere una distribuzione del docufilm nelle scuole superiori e nelle università: per diffondere e radicare, attraverso questo racconto corale, la consapevolezza che un altro mondo del lavoro è possibile, che aziende “ecosocialmente sostenibili” esistono, e che la creazione del senso e il valore del “fattore umano” sono un volano di sviluppo integrale e materiale molto più potente dell’idolatria del mero e sterile profitto finanziario immateriale. Le storie raccolte da Giacomo Gatti rilanciano infatti, in buona sostanza, tutti i messaggi di un’economia civile europea nata a Napoli con l’illuminista Antonio Genovesi e oggi ripresa dalle riflessioni di tanti autorevoli esponenti di questo pensiero di “felicità condivisa”: da Stefano Zamagni a Luigino Bruni fino a Leonardo Becchetti.   
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