Irpef, meno tasse per redditi dai 50mila euro: piano per beneficiare la classe media.
Ecco chi ci guadagna

Dopo i redditi bassi il prossimo anno la riforma fiscale beneficerà i redditi da 50 mila euro. Si agirà sugli scaglioni

Irpef, meno tasse per redditi dai 50mila euro: piano per beneficiare la classe media. Ecco chi ci guadagna
di Andrea Bassi
Mercoledì 6 Marzo 2024, 12:40 - Ultimo agg. 8 Marzo, 12:33
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Proviamo a porre così la domanda. Una persona che guadagna 2.400 euro nette al mese, con due figli minori a carico, nell’Italia di oggi, si può considerare ricca? C’è da scommettere che a quasi nessuno verrebbe in mente di definire un “paperone” chi ogni mese riceve in busta paga una somma del genere.

Eppure per il Fisco è proprio questa la soglia di reddito raggiunta la quale una famiglia può dirsi benestante e, quindi, essere assoggettata all’aliquota massima dell’Irpef, quella del 43 per cento. Per chi avesse per un attimo perso l’orientamento, meglio forse passare dal reddito netto mensile a quello lordo annuale, la cifra che poi viene in effetti presa in considerazione quando c’è da incasellare un contribuente in uno degli scaglioni fiscali. In questo caso il reddito dichiarato sarebbe di 50 mila euro, esattamente la soglia di ingresso nell’aliquota fiscale massima.

Chi supera questa “linea del Piave” vede rapidamente sparire qualsiasi aiuto da parte del Fisco e per ogni euro in più guadagnato è costretto a lasciare 43 centesimi allo Stato (più qualcos’altro a Regioni e Comuni). Anche l’ultimo taglio delle tasse, che ha ridotto da quattro a tre le aliquote Irpef, accorpando i due scaglioni più bassi del 25 e del 23 per cento, è stato fatto in modo che da 50 mila euro in su ogni beneficio fosse azzerato. E lo si è fatto introducendo una “franchigia”, come quella imposta da alcune assicurazioni per i danni alla macchina, di 260 euro alle detrazioni fiscali per mutui, spese scolastiche e funerali. I 260 euro del taglio dell’Irpef sono così stati azzerati dal taglio delle detrazioni.

IL PESO

«Il ceto medio», spiega Elbano De Nuccio, presidente del Consiglio nazionale dei Commercialisti, «sopporta un peso fiscale eccessivo, gravato oltre che dalla progressività e quindi da aliquote marginali più elevate, anche dall’esclusione di fatto della gran parte delle agevolazioni e dei bonus fiscali che sono concessi in base al reddito individuale o familiare, come nel caso dell’Isee». Non solo. «Possiamo considerare», aggiunge De Nuccio, «due fasce di ceto medio, quella che va da 35 mila euro a 50 mila euro e che raggruppa circa 3,3 milioni di contribuenti e quella che va da 50 mila a 75 mila euro di reddito che raggruppa 1,4 milioni di contribuenti. In totale si tratta di 4,7 milioni di contribuenti, quasi il 12% del totale, su cui grava il 30% dell’imposta netta totale». A 50 mila euro di reddito si azzerano anche le detrazioni da lavoro. Così anche il governo ha preso atto che nel sistema fiscale italiano c’è un trattamento altamente ingiusto della classe media. E lo ha fatto per bocca di Maurizio Leo, vice ministro dell’Economia e padre della riforma fiscale del governo Meloni. «Il contribuente con 50.000 euro di reddito non possiamo dire che sia iper-ricco e paga il 43% di tasse», ha spiegato in più di una occasione Leo. «Bisogna pensare gradualmente a questi soggetti». La promessa, nemmeno tanto velata, è che già per il prossimo anno, nel 2025, ci possa essere un qualche taglio delle tasse che possa coinvolgere la classe media italiana, dopo che per anni, dal bonus Renzi da 80 euro, alla decontribuzione, fino al taglio delle aliquote più basse, si è agito soltanto sulle fasce di reddito fino a 35 mila euro.

Al prossimo giro, insomma, tocca alla classe media. Ma se l’intenzione c’è ed è stata ufficializzata dal vice ministro dell’Economia, la strada non sarà semplice. I nodi da sciogliere sono sostanzialmente due. Il primo è tecnico: in che modo aiutare i redditi da 50 mila euro in su e fino a che soglia? Il secondo è economico: quante risorse serviranno e da dove arriveranno? Partiamo dal primo. La via più semplice sarebbe quella di abbassare ancora le aliquote. Si potrebbe agire su quella del 35 per cento, che oggi versano i redditi tra 28 mila e 50 mila euro. In questo modo si otterrebbe una riduzione dell’Irpef, a parità di ogni altra condizione, fino a un massimo di 220 euro per chi dichiara dai 28 ai 50 mila euro di reddito, che poi crescerebbe man mano per i redditi oltre i 50 mila euro. È una via certo, ma avrebbe lo stesso inconveniente di quella già battuta lo scorso anno con l’accorpamento al 23 per cento dell’aliquota del 25 per cento per i redditi fino a 28 mila euro. Per evitare che se ne avvantaggiassero anche i “ricchi” ci si è dovuti inventare il meccanismo della franchigia.

LE SIMULAZIONI

C’è però un’altra via con la quale si potrebbe alleggerire il carico fiscale sulla classe media evitando di dare vantaggi a chi si trova oltre un certo reddito: agire sugli scaglioni invece che sulle aliquote. Detto in altri termini, invece di abbassare l’aliquota del 35 per cento al 34 per cento, si potrebbe alzare il reddito fino al quale si applica il 35 per cento e non l’aliquota massima del 43 per cento. Si potrebbe, per esempio, riportare il gradino di reddito al quale si applica l’aliquota massima a 75 mila euro di reddito, come era del resto prima che gli scaglioni fossero ridotti da cinque a quattro. Un obiettivo che, come ha detto Leo, potrebbe anche essere raggiunto «gradualmente». Che impatti avrebbe? Secondo le simulazioni fatte dal Consiglio Nazionale dei Commercialisti per MoltoEconomia, il beneficio andrebbe dagli 80 euro a 51 mila euro di reddito, fino ai 2 mila euro a 75 mila euro. A 55 mila euro di reddito, il guadagno sarebbe già di 400 euro, per salire a 800 euro per un reddito di 60 mila euro. Una misura alla quale si potrebbe aggiungere la “restituzione” dei 260 euro sottratti con la “franchigia” sulle detrazioni. Quanto peserebbe sui conti pubblici? Il costo dell’intera operazione potrebbe aggirarsi intorno al miliardo e 180 milioni di euro con una media di circa 846 euro per contribuente. Ovviamente se l’asticella fosse posta a 75 mila euro, mentre si ridurrebbe se si iniziasse con una platea più ridotta, magari fino a 60 mila euro di reddito. La cifra in teoria non è elevatissima. C’è però da tenere conto che la riduzione delle aliquote Irpef da quattro a tre, che costa 4 miliardi di euro, è stata finanziata per un solo anno. «Qualsiasi riforma dell’Irpef», spiega ancora Di Nuccio, «sarà possibile solo a fronte di coperture certe e strutturali». Da dove potranno arrivare? Leo punta molto su due strumenti: la cooperative compliance delle grandi aziende e il concordato biennale preventivo per le Partite Iva. Da questi due “patti” del Fisco con i contribuenti dovranno arrivare le risorse per la riforma dell’Irpef. È qui, insomma, che il governo non può sbagliare.

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