Ettore Prandini: «Trasparenza e tutela, ora fermiamo il falso cibo italiano»

Il presidente di Coldiretti: «L’8 aprile mobilitazione lungo la frontiera del Brennero per dire no all’importazione di prodotti stranieri impropriamente spacciati come nostri»

Ettore Prandini, presidente di Coldiretti
Ettore Prandini, presidente di Coldiretti
di Gabriele Rosana
Mercoledì 3 Aprile 2024, 14:15 - Ultimo agg. 8 Aprile, 18:42
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E​ttore Prandini, presidente di Coldiretti, l’Ue ha fornito le prime risposte alle richieste del settore agricolo. Qual è il suo bilancio? 


«Siamo stati i primi a porre l’attenzione sulla dimensione europea e sulla necessità di contestazioni pacifiche: i risultati parziali che vediamo oggi sono il frutto della protesta degli ultimi mesi a Bruxelles, certo, ma anche di un lavoro che va avanti da un anno e mezzo, alla ricerca di soluzioni per problemi che l’agricoltura si è trovata a dover affrontare in un mondo stravolto da pandemia e guerre. Eventi che hanno causato un importante aumento dei costi per le aziende – le bollette, certo, ma pure concimi e fertilizzanti – e incertezze sui mercati internazionali. Ecco, questo lavoro dovrà continuare anche con la prossima Commissione, se vogliamo che l’Europa resti un punto di riferimento; un’Europa che dovrà essere più snella, più veloce e avere una maggiore capacità di confronto sulle esigenze dei vari settori produttivi. Tra cui l’agroalimentare, prima voce per importanza per l’export Ue».
Bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Cos’avete ottenuto? E cosa no? 
«Tra le buone notizie c’è la semplificazione della burocrazia della Pac, che nel nostro Paese riguarda 500mila Pmi agricole: basti pensare che un agricoltore spende un terzo del suo tempo per riempire moduli e carte. Ma pure il blocco del regolamento sui pesticidi, che rischiava di diminuire la capacità produttiva europea generando una maggiore importazione di prodotti da altri continenti, e l’inserimento del principio della reciprocità nel nuovo regolamento sugli imballaggi: si stabilisce che i contenitori in plastica dei prodotti agroalimentari importati dovranno avere le stesse caratteristiche che valgono per l’ortofrutta Ue. Sul fronte degli aiuti di Stato, abbiamo incassato il sostegno del Consiglio europeo alla proroga del regime di favore per l’agricoltura; una misura necessaria per arrivare a una moratoria dei debiti per le imprese agricole in risposta all’aumento dei tassi di interesse delle banche. Non abbiamo, invece, ottenuto un giusto riequilibrio nella direttiva sulle emissioni industriali: siamo riusciti a escludere gli allevamenti di bovini, ma le condizioni sono peggiorate per la filiera avicola e suinicola». 
Ecco, molti vincoli “green” sono stati allentati. È sintomo di un ripensamento del Green Deal? 
«Alcuni esponenti della Commissione ci hanno voluto far credere che l’agricoltura fosse nemica dell’ambiente, inserendo vincoli e adempimenti burocratici che hanno messo in difficoltà le imprese medio-piccole: paradossalmente, però, una perdita della loro presenza nelle zone interne e nelle aree montane può avere un impatto devastante, ad esempio in termini di prevenzione del dissesto idrogeologico. Dobbiamo abbandonare una finta ideologia ambientalista che ha portato a una minore capacità produttiva nel continente o alla demonizzazione di intere filiere come quella zootecnica. C’è poi un capitolo diplomatico-commerciale, con i limiti all’import ucraino. Fornire il giusto sostegno all’Ucraina è doveroso, anche favorendo le importazioni di grano. Ma per evitare fibrillazioni sul mercato Ue dei cereali abbiamo proposto che il prodotto ucraino venga destinato ai Paesi africani e in via di sviluppo, offrendo dei magazzini europei come centri di stoccaggio. In questo modo si potrebbe anche valorizzare il ruolo geopolitico dell’Europa nella lotta all’insicurezza alimentare, su cui pesa l’influenza di Cina e Russia».
Dopo aver chiuso i rubinetti del gas, Putin apre quelli dei cereali? 
«Da tempo denunciamo il tentativo di Mosca di destabilizzare il mercato europeo dei cereali per creare volutamente tensioni in vista delle elezioni europee, e ora la Commissione ha annunciato l’introduzione di dazi. Senza che ce ne accorgessimo, la Russia è diventata il terzo produttore mondiale di grano duro, ha visto crescere il suo export verso l’Italia del 1.000% tra 2022 e 2023, mentre il prezzo del nostro grano si è ridotto di un terzo». 
Temete, come nel 2014, un effetto boomerang sull’export agricolo italiano verso la Russia? 
«All’epoca, l’agroalimentare pagò le conseguenze di dazi introdotti su settori diversi. Serve un’attenta conoscenza del mercato per evitare di essere penalizzati, e speriamo non si ripeta quanto visto in quegli anni con una totale distonia nei comportamenti tra gli Stati Ue». 
Su che fronte si sposta adesso la vostra battaglia? 
«Vogliamo più trasparenza per i cittadini e più tutele per i nostri agricoltori dalla concorrenza sleale, rilanciando in Europa la nostra battaglia per ottenere l’etichettatura di origine per tutti i prodotti alimentari e fermare il falso cibo italiano a tavola. Da lunedì 8 aprile Coldiretti organizzerà una grande mobilitazione di sostegno al “made in Italy” lungo le frontiere del Brennero per dire no all’importazione di prodotti stranieri che vengono impropriamente spacciati come nostri». 

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