Giovani e lavoro, i miti da sfatare: come sarà l'occupazione futura

«Sicuramente i giovani non vogliono essere sottopagati. Quello che viene a modificarsi è che il concetto di gavetta, che non può più coincidere con quello di sfruttamento»

Giovani e lavoro, ecco i miti da sfatare
Giovani e lavoro, ecco i miti da sfatare
di Roberta Avallone
Mercoledì 22 Febbraio 2023, 15:00 - Ultimo agg. 19:18
6 Minuti di Lettura

Secondo gli ultimi dati dell'Osservatorio Inps, risalenti allo scorso settembre, sono più di un milione i candidati italiani che hanno spontaneamente dato le loro dimissioni. Dati che possono essere fondamentali per capire com'è cambiato il rapporto con il lavoro, specialmente nella fascia più giovane del paese. 

«In primo luogo è cambiato il concetto di benessere personale rispetto a quello di benessere lavorativo - afferma Luciana d'Ambrosio Marri, sociologa del lavoro, selezione, formazione, diversity & inclusion management e autrice di diversi libri tra cui Conflitti”, “What workers want. Il futuro del lavoro” e del capitolo “Diversity & Inclusion tra realtà e difficoltà nel XXI secolo” (nel libro di C. Barnini - Diversity & Inclusion) -, nel senso che la motivazione non è più solo economica e diventano importanti il valore del tempo e delle relazioni e lavorare in una condizione tecnologica avanzata. In più la motivazione non è uguale per tutti e non è costante». 

«In particolare - aggiunge - nel non essere uguale per tutti il senso del lavoro cambia: ci sono persone più motivate dal senso di sfida rispetto a ciò che fanno o dal potere di incidere nel contesto in cui lavorano, oppure ancora persone motivate dalla possibilità si approfondire una conoscenza nel lavoro. Ci sono poi dei soggetti più motivati dall'affiliazione e dal senso di appartenenza e di affettività nel lavoro. Quindi l'orientamento alla carriera non è scomparso ma non è un dictat uguale per tutti. Inoltre, per chi sente la voglia di crescere, il senso di crescita non è dato più dal salire di grado e quindi  dalla progressione canonica di carriera, ma è un crescere a 360 gradi, non solo in termini verticali». Non c'è quindi da stupirsi che un fenomeno ricorrente nell'ultimo periodo sia quello del quiet quitting, ovvero la tendenza a lavorare il giusto per non essere licenziati, rifiutandosi di fare straordinari o aderire a progetti che non rientrano nell'orario di lavoro. 

Il lavoro non è più al centro della vita ma anzi si preferiscono soluzioni che siano in grado di offrire un buon bilanciamento con la vita privata. È quindi riduttivo affermare che “i giovani non hanno voglia di lavorare”, piuttosto è vero che non ci si accontenta più di lavorare e basta. «Sicuramente i giovani non vogliono essere sottopagati - aggiunge d'Ambrosio Marri -. Quello che viene a modificarsi è che il concetto di gavetta non può più coincidere con quello di sfruttamento. È vero che ci sono giovani che si adagiano, magari aiutati dai genitori che li viziano, ma ci sono anche giovani con disagi reali. Però va detto in generale che i millennials e la generazione z, hanno delle priorità e delle motivazioni differenti anche rispetto a dove voler lavorare e a come  lavorare. Sicuramente vogliono sentirsi apprezzati nel lavoro, ricevere un feedback sia esso positivo o negativo; vogliono una maggiore autonomia e flessibilità e vivere in spazi  di lavoro che abbiano il minimo delle norme di sicurezza rispettati”. Dai dati pubblicati da Eurostat emerge infatti che i giovani italiani tra i 18 e i 24 anni percepiscono alcuni tra gli stipendi più bassi d'Europa: 15.858 all'anno, non di certo sufficienti per vivere dignitosamente e in autonomia. Inoltre, l'Italia è l'unico Stato che tra il 1990 e il 2020 ha avuto una decrescita nei salari annuali medi, pari al -2,9% (dati OpenPolis): millennials e gen z sono le prime due generazioni che non guadagnano più dei propri genitori. 

Nella scelta del lavoro, «diventano quindi attrattive le aziende che investono in politiche di work life balance e che sono perciò attente a un bilanciamento della qualità della vita lavorativa e personale dei propri dipendenti; o ancora aziende che investono sul valore della diversity & inclusion, quindi della valorizzazione delle differenze, che siano di età, di orientamento sessuale, di genere, religiose e culturali. Diventano vincenti anche le aziende che sono impegnare sul green e sulla sostenibilità o che sappiano valorizzare la genitorialità, sia per le madri che per i padri». A questo proposito, il congedo obbligatorio di maternità e paternità in Italia presenta ancora molte differenze: se le madri hanno diritto ad astenersi dal lavoro per cinque mesi, i padri possono solo astenersi per 10 giorni, rendendo impari la gestione parentale, penalizzando ancora di più le giovani donne. 

Video

Se in Italia le prospettive future di lavoro non appaiono tra le più rosee, «Il futuro del lavoro - dichiara d'Ambrosio Marri - va sicuramente centrato su un cambio di mentalità, sia dal punto di vista di impresa che di politica di gestione delle risorse umane. Va superato un paternalismo canonico e una logica medioevale di vedere il rapporto capo/collaboratore. Diventa importante nel futuro del lavoro valorizzare la formazione di chi si è impegnato nel formarsi, oltre che la formazione di chi è stato assunto. Sempre a proposito di tendenzialità del futuro abbiamo visto con la pandemia il fenomeno del south working, per cui molte persone del Sud Italia che avevano trovato lavoro al Nord o all'estero, sono ritornate nel loro luogo di origine durante la pandemia, continuando a lavorare per le stesse aziende. Questo fenomeno può diventare un'opportunità di sviluppo nel futuro soprattutto a livello territoriale, se i territori saranno però in grado di attrezzarsi sia dal punto di vista tecnologico, sia dal punto di vista dei bisogni dei lavoratori che sono rientrati». A lasciare il Paese, infatti, sono per lo più i giovani laureati, perdendo ogni anno l'1% del Pil a causa della fuga di cervelli (Aire). 

«Sicuramente il futuro del lavoro sarà incentrato su una modalità più agile di lavoro e di mentalità. Pensiamo anche al valore del tempo: se già oggi si parla di settimana corta per alcuni ambienti lavorativi, questo andrà considerato. Sarà anche un futuro del lavoro dove medici e figure professionali inerenti alla sanità, quali i caregiver, saranno sempre più fondamentali e importanti perché la società italiana è composta maggiormente da persone anziane. In generale il mondo del lavoro si evolverà con un welfare aziendale molto potente e diffuso, per servizi agli anziani e ai neogenitori, come gli asili nido». L'Italia ha la più alta percentuale di “neet”, ovvero giovani tra i 20 e i 34 anni che non lavorano, non studiano e non sono coinvolti in altri tipi di percorsi formativi. Si tratta del 29,4%, ciò significa che tra le forze attive del Paese prevalgono le fasce più vecchie, nate fino alla metà degli anni '70. Non c'è da stupirsi però considerando che tra il 2010 e il 2020 la popolazione dai 25 ai 34 anni è passata dai quasi 7 milioni e mezzo ai quasi 6 milioni e mezzo

Tuttavia, nonostante il panorama poco confortante, non mancano in Italia discussioni sul salario minimo o sulla settimana corta, già sperimentata in alcune aziende d'Italia. «Se si prende in mano la situazione con coraggio e si guarda non solo al qui e ora ma anche in prospettiva e attrezzandosi, il futuro del mondo del lavoro non sarà solo grigio ma anche a colori», conclude d'Ambrosio Marri. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA