Imprese italiane sempre più digitali, ma la Pa è ancora indietro. Con i portafogli digitali spinta per Spid, PagoPa e App Io

Per The European House–Ambrosetti le aziende informatizzate crescono del 5,5% a quota 80mila. Obiettivo raddoppio nel 2028. Male i servizi pubblici online, nonostante il boom di Spid, fascicoli sanitari e transazioni con app statali

Un programmatore informatico al lavoro con il suo pc e due schermi di supporto
Un programmatore informatico al lavoro con il suo pc e due schermi di supporto
di Giacomo Andreoli
Domenica 17 Dicembre 2023, 13:25 - Ultimo agg. 19 Dicembre, 09:04
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Cresce il livello di digitalizzazione delle aziende italiane. Sono circa 80mila, oltre il 41% del totale, ad aver adottato le nuove tecnologie, il 5,5% in più in un anno. E se il Pnrr verrà attuato a pieno, nel 2026 il numero di imprese informatizzate salirà a 135mila, quasi il doppio rispetto a oggi (per il 72,8% del totale), contribuendo con una maggiore produttività a un aumento annuo del Pil dell’1,2%. Non solo: il gap tra gli investimenti delle aziende italiane sulla cybersicurezza e quelli europei si è dimezzato in dodici mesi.

A mostrare la fotografia del Paese è il Rapporto 2023 dell’Osservatorio sulla trasformazione digitale dell’Italia, lanciato da The European House–Ambrosetti con la Fondazione Ibm. Secondo il report, però, siamo ancora indietro sulle tecnologie avanzate, la digitalizzazione della Pubblica amministrazione e le conoscenze di base dei cittadini (nonostante un numero di Spid che viaggia verso la copertura dell’80% della popolazione).

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Ritardi e miglioramenti

«I ritardi del Paese sul fronte della trasformazione digitale – spiega a Il Messaggero Lorenzo Tavazzi, partner e responsabile Scenari & Intelligence di The European House–Ambrosetti - sono noti, ma lo studio mostra che ci sono anche importanti segnali di miglioramento che testimoniano l’impegno e i progressi del Paese, anche grazie al Pnrr e allo sviluppo dell’Intelligenza artificiale». In particolare risulta evidente il salto avanti sul cloud, quella nuvola digitale per organizzare in modo efficiente e sicuro i dati pubblici e privati (con 1,9 miliardi stanziati nel Piano nazionale di ripresa e resilienza), che ha visto «la maggior accelerazione in Europa nel periodo pandemico». E ancora, sulla cybersecurity, le imprese italiane «stanno avanzando in maniera significativa: siamo al decimo posto in Ue per aziende che usano i sistemi di difesa e all’ottavo per aggiornamento frequente delle policy». Anche se gli investimenti pubblici su questo fronte rispetto al Pil sono ancora bassi (0,1% contro lo 0,31% degli Usa e lo 0,18% della Germania).

Mentre, per quanto riguarda l’e-commerce, il valore delle vendite online è cresciuto di 2,4 volte tra il 2016 e il 2022 (da 19,8 a 48,1 miliardi, una delle migliori performance in Europa). Con una piena attuazione del Pnrr si punta poi entro tre anni al raggiungimento di un livello di base della cosiddetta “intensità digitale” (che misura vari elementi, dall’utilizzo dei social, a numero e velocità delle connessioni) per il 90% delle pmi. Mentre nel 2030 il numero di imprese digitalizzate può salire a 180mila (il 97,5% del totale). 

Sulla formazione serve però fare di più: il numero di studenti in discipline tecniche è aumentato di 17mila unità tra il 2013 e il 2021, ma secondo il report con questo trend di aumento del 6% annuo arriveremo ad avere il numero necessario di competenze specialistiche solo nel 2044.

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Più strumenti per i cittadini

Il livello delle tecnologie, poi, è ancora basso per il 78% delle aziende (molto alto solo nel 3% dei casi, contro il 14% della media europea). E ancora: in Italia un’azienda su 5 (21,8%) non sta utilizzando tecnologie di Intelligenza artificiale e non prevede di farlo, soprattutto per la mancanza di un chiaro utilizzo di business (67%), mentre solo il 7% delle pmi fa analisi dei big data, contro il 13% della media europea. Quanto alla Pa, gli indicatori mostrano un peggioramento rispetto al 2022 sulla qualità dei servizi pubblici offerti. Ma nel rapporto tra cittadini e Pubblica amministrazione emergono anche dati incoraggianti: circa 35 milioni di Spid (le identità digitali) raggiunte nel 2023 (erano meno di 1 milione a fine 2016), per una quota del 75% della popolazione; 58 milioni di Fascicoli sanitari elettronici (per il 98% della popolazione); 340 milioni di transazioni dirette al 2023 sulla piattaforma PagoPa.

«C’è un 5-7% di italiani - aggiunge Tavazzi - di zoccolo duro con difficoltà a usare questi strumenti, per ragioni anagrafiche e per mancanza di competenze di base, anche tra i giovani. Serve inclusione, ma non vanno usati come ‘scusa’ per frenare lo sviluppo». Nel 2024 una spinta importante può arrivare con l’arrivo dei portafogli digitali realizzati dal dipartimento per l’Innovazione, di cui uno del tutto gratuito dove mettere tutti i documenti virtuali senza carta. Un “booster” già sperimentato con il cashback fiscale tra il 2020 e il 2021, che per Tavazzi «ha aumentato il livello di digitalizzazione, con un picco di Spid e download dell’app Io per dialogare con la Pa».

Nel frattempo tra il 2016 e il 2022 le operazioni con carte di credito e bancomat sono cresciute del 105% a quota 205 miliardi: oggi il 74,6% dei cittadini vuole aumentare il ricorso a questi strumenti rispetto al contante, contro il 60% del 2020. «Il contante - conclude Tavazzi - non deve essere cancellato, ma bisogna incentivare le nuove tendenze: la filiera italiana del cashless è un’eccellenza che vale miliardi ed è in netta crescita: investirci con forza vuol dire far salire più rapidamente il Pil. Aumentare il tetto ai contanti, invece, dà un messaggio sbagliato ai cittadini e alle imprese».

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