Stipendi su in tutta Europa, in Italia fermi da 30 anni. ​E i lavoratori sono sempre più anziani

I salari reali sono aumentati solo dell’1% a fronte del 32,5% registrato nell’area Ocse

Stipendi su in tutta Europa, in Italia fermi da 30 anni. E i lavoratori sono sempre più anziani
​Stipendi su in tutta Europa, in Italia fermi da 30 anni. ​E i lavoratori sono sempre più anziani
di Francesco Bisozzi
Giovedì 14 Dicembre 2023, 23:38 - Ultimo agg. 15 Dicembre, 15:34
4 Minuti di Lettura

 Molto più di un semplice campanello di allarme. In Italia i salari sono al palo da 30 anni, secondo le rilevazioni dell’Inapp, l’istituto per le analisi delle politiche pubbliche, e i lavoratori in servizio sono sempre più avanti con l’età, soprattutto nella Pubblica amministrazione. Insomma, se da un lato il tasso di occupazione a ottobre è salito al 61,8%, un livello record, dall’altro restano criticità strutturali importanti da risolvere. Il rapporto Inapp presentato ieri a Montecitorio mette nel mirino anche la bassa produttività e la scarsa formazione. Più nel dettaglio, tra il 1991 e il 2022 i salari reali in Italia sono cresciuti solo dell’1% a fronte del 32,5% in media registrato nell’area Ocse. E poi. Nella Pubblica amministrazione per ogni lavoratore con un’età compresa tra 19-39 anni ce ne sono 4 adulti-anziani. 

Stipendi, le donne pagate il 5% meno degli uomini: allarme dell'Inps. Ma nel resto dell'Ue è peggio

IL RECORD

Nel complesso, considerato anche il privato, per ogni 1.000 lavoratori giovani ci sono ben 1.900 lavoratori over 40. Così il presidente dell’Inapp Sebastiano Fadda: «Dopo la crisi pandemica le dinamiche del mercato del lavoro hanno ripreso a crescere, ma con rallentamenti dovuti sia a fattori esterni, dal conflitto in Ucraina alla crescita dell’inflazione alla crisi energetica, sia a fattori interni, come il basso livello dei salari che si lega alla scarsa produttività, alla poca formazione e agli incentivi statali per le assunzioni che non hanno portato quei benefici sperati». E in effetti dal rapporto dell’istituto emerge che più della metà delle imprese, il 54%, ha assunto nuovo personale dipendente, però solo il 14% ha utilizzato almeno una delle misure incentivanti previste dallo Stato. 
La ministra del Lavoro, Marina Calderone, ha parlato di problemi strutturali di lunga data.

Lo sguardo però è proiettato verso il futuro. «Credo molto nelle potenzialità del nuovo Sistema informativo di inclusione sociale e lavorativa, che deve diventare un’efficace porta di accesso al mercato del lavoro. È il momento di puntare sul lavoro di qualità». Solo nel 2020, indica il rapporto dell’Inapp, si è registrato un calo dei salari in termini reali del 4,8% e un gap record (-33,6%) con la crescita dell’area Ocse. 

IL GAP

Accanto a questo problema, evidenzia sempre l’Inapp, si è sviluppato anche quello della scarsa produttività: «A partire dalla seconda metà degli anni Novanta la crescita della produttività è stata di gran lunga inferiore rispetto ai Paesi del G7, segnando un divario massimo nel 2021 pari al 25,5%». Un faro poi sulle assunzioni nel 2022, inferiori di circa 300 mila unità rispetto all’anno precedente (414 mila le nuove attivazioni nette nel 2022 a fronte delle 713 mila del 2021). E a proposito di “great resignation”: secondo le stime dell’istituto per le analisi delle politiche pubbliche, il 14,6% degli occupati tra i 18 e i 74 anni (parliamo di oltre 3,3 milioni di persone) ha pensato di dimettersi. Le quote più alte di chi ha intenzione di lasciare il lavoro, a prescindere dalla motivazione, si osservano in corrispondenza degli occupati con un diploma (18,9%), mentre diminuiscono con il crescere dell’anzianità anagrafica e delle dimensioni del Comune di residenza. Insomma, il fenomeno della “great resignation” non sembra attecchire nelle grandi città. Tornando invece al flop di alcune agevolazioni che erano state pensate per incentivare i datori di lavoro ad assumere, la fotografia dell’Inapp evidenzia la necessità di effettuare dei correttivi. Appena il 4,5% delle aziende sostiene che l’introduzione del programma di incentivazione è stato importante ai fini delle loro decisioni di assunzione, sottolinea il rapporto. La probabilità di ricorrere a uno o più schemi di incentivazione all’occupazione è maggiore del 50% per le imprese di grandi dimensioni, ovvero con più di 250 addetti, mentre si riduce al 24% per le microimprese. 

IL TREND

Le imprese del Mezzogiorno sono molto più propense a sfruttare le agevolazioni: circa il 38% delle imprese del Sud e il 36% di quelle localizzate nelle isole dichiara di aver usato almeno un incentivo, contro il 20% in media delle aziende localizzate nelle altre aree. Gli incentivi hanno interessato quasi 2 degli oltre 8 milioni di nuovi contratti attivati nel 2022, ovvero il 23,7%. E l’incentivo più utilizzato è stata la Decontribuzione Sud, che ha riguardato il 65% dei nuovi contratti. Infine, sulla formazione continua si confermano i bassi livelli di partecipazione. La popolazione adulta di età compresa tra 25 e 64 anni che ha partecipato ad attività di istruzione e formazione è stata nel 2022 pari al 9,6%. In Europa l’asticella si posiziona qualche gradino più in alto, all’11,9%.

© RIPRODUZIONE RISERVATA