Stipendi dei medici più alti al Nord, la fuga dei camici bianchi: effetto Autonomia sulla Sanità

Le Regioni più ricche puntano ad alzare i compensi dei camici bianchi: rischio esodo

Sanità, effetto Autonomia: la fuga dei medici al Nord (dove trovano compensi più alti)
Sanità, effetto Autonomia: la fuga dei medici al Nord (dove trovano compensi più alti)
di Andrea Bulleri
Martedì 27 Dicembre 2022, 00:07 - Ultimo agg. 25 Febbraio, 13:22
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Un sistema sanitario sempre più a macchia di leopardo. Con le regioni più ricche, quelle del Nord, autorizzate a pagare i propri medici (molto) meglio delle altre. E i camici bianchi che, di conseguenza, avrebbero tutto l’interesse a spostarsi verso il Veneto, la Lombardia e l’Emilia Romagna, lasciando sguarniti gli ospedali del Sud. È questo lo scenario che la bozza di riforma sull’autonomia differenziata targata Roberto Calderoli rischia di disegnare sul fronte della Sanità. Perché la «tutela della salute», testo del provvedimento alla mano, rientra tra le 23 materie su cui le Regioni potranno, previa intesa con Roma, guadagnare margini di indipendenza rispetto al governo centrale anche molto più estesi di oggi. Con il ministero della Salute che finirebbe per essere relegato al ruolo di coordinatore di una pletora di sistemi sanitari regionali anche molto diversi tra loro. A cominciare dalle retribuzioni dei medici.

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LE BUSTE PAGA

Già, perché secondo i critici uno dei punti più traballanti dell’intero castello elaborato dal ministro degli Affari regionali è proprio il nodo delle buste paga. Perché sebbene la sanità sia un ambito in cui le regioni fanno già la parte del leone, soprattutto per quanto riguarda i bilanci, oggi i compensi dei singoli specialisti vengono stabiliti a livello centrale, dalla contrattazione tra sindacati e ministero. Solo una parte accessoria della loro retribuzione, quella variabile, può essere ritoccata al rialzo dalle singole aziende sanitarie, soprattutto per quanto riguarda i ruoli dirigenziali. Se però la riforma andasse in porto così com’è tratteggiata nella bozza, lo scenario cambierebbe drasticamente. Con le singole regioni che già premono - Lombardia e Veneto in primis - per avere carta bianca sui compensi da erogare ai medici. Del resto la carenza di camici bianchi, specialmente nei pronto soccorso, è un problema che affligge anche il Nord. E il rischio concreto, segnalato sulle colonne del Messaggero anche dal costituzionalista Vincenzo Cerulli Irelli, è quello di trovarsi di fronte a un vero e proprio “esodo” di giovani specialisti dal Mezzogiorno al Settentrione, attratti da prospettive di guadagno migliori. «Per il sistema sanitario nazionale sarebbe lo spezzatino definitivo», osserva Carlo Palermo, presidente del sindacato dei camici bianchi Anaao-Assomed: «Con una Salute ancor più regionalizzata, potremmo dire addio al contratto collettivo di categoria.

Il risultato? I professionisti migliori, o almeno i più giovani, se ne andrebbero al Nord. E il diritto alle cure mediche – aggiunge – non sarebbe più uguale per tutti i cittadini, come prevede la Costituzione, ma sempre più differenziato in base al codice di avviamento postale». Non è un caso se anche altre due sigle sindacali (Cimo-Fesmed e Aaroi-Emac) hanno annunciato battaglia contro la riforma.

La questione, del resto, non tocca solo gli stipendi dei professionisti, ma pure le borse di studio per i medici in formazione. Oggi, infatti, è il ministero della Salute a pianificare il numero dei posti disponibili nelle scuole di specializzazione a livello nazionale, e dunque a decidere di quanti specialisti c’è bisogno in ogni settore. Se il sistema diventasse regionale, ognuno farebbe per sé. Col risultato che, oltre a poter incrementare l’assegno mensile per i borsisti, le Regioni con più risorse avrebbero gioco facile nel mettere a disposizione più posti delle altre. E il divario tra Settentrione e Meridione, invece di ridursi, aumenterebbe. 

CONCORRENZA SLEALE

Al punto che c’è già chi adombra lo spettro di una «concorrenza sleale» tra Regioni: una sorta di asta al rialzo per garantirsi le prestazioni dei medici più difficili da trovare (come quelli dei reparti di emergenza-urgenza). Una corsa che finirebbe per coinvolgere anche la regolamentazione dell’attività di libera professione, che potrebbe diventare un ulteriore fattore di attrazione per i professionisti sanitari più richiesti. Infine, il capitolo costi. A sollevarlo è il presidente dell’Ordine nazionale dei medici Filippo Anelli. Secondo cui la direzione da prendere – e l’esperienza della pandemia lo conferma – è proprio quella contraria rispetto al disegno di Calderoli, ossia una ri-centralizzazione della Salute. Anche al fine di spendere meglio le risorse a disposizione: «Negli ultimi quattro anni il fondo sanitario nazionale è cresciuto di 14 miliardi, senza considerare le risorse stanziate per far fronte all’emergenza Covid. Tutti questi soldi non solo non hanno ridotto il gap sanitario tra Nord e Sud, ma – attacca Anelli – non si sono neanche tradotti in servizi più efficienti per i cittadini. Ed è difficile pensare che la soluzione, di fronte a costi fuori controllo, sia quella di aumentare ulteriormente i centri di spesa, invece di ridurli». 

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