Sud, il nodo dei fondi Ue: bene la Puglia, in affanno la Campania e la Sicilia

Patuelli (Abi): nel Mezzogiorno più chance che realizzazioni

L'incontro all'Unione Industriali
L'incontro all'Unione Industriali
di Nando Santonastaso
Martedì 10 Ottobre 2023, 08:19
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L'allarme lo aveva lanciato più volte negli ultimi tempi il ministro per gli Affari europei, il Sud, il Pnrr e le politiche di Coesione Raffaele Fitto: non è scontato, ha detto, che arriveranno comunque in futuro le stesse attuali risorse europee per recuperare i ritardi del Sud se non si cambia passo nella spesa. E ieri non è stato difficile cogliere la conferma di questo potenziale pericolo nell'intervento di Elena Grech, maltese, vicecapo della Rappresentanza in Italia della Commissione europea, durante l'annuale, riuscito incontro sulle prospettive del Mezzogiorno promosso dalla Fondazione Ugo La Malfa, dall'Abi e dall'Unione Industriali di Napoli che lo ha ospitato.

Il problema non è solo quantitativo, spiega Grech, di possibili tagli, cioè, che farebbero comunque male, ma di tenuta delle attuali scelte della Politica di Coesione di fronte al fatto «che sono almeno 10 i Paesi che chiedono di entrare nell'Ue e tutti con economie più povere della media europea» (per la sola Ucraina servirebbero non meno di 250 miliardi per consentirle di adeguarsi agli standard previsti da Bruxelles).

Tutti questi Stati beneficerebbero, in sostanza, di maggiori fondi per risalire e l'Italia dovrà contribuire per la sua parte, con il rischio di spendere più di quanto riceve senza avere superato le discrepanze di sviluppo interno. Un paradosso se si considera che il nostro Paese ha ricevuto e continua a ricevere questo genere di aiuti sin dall'inizio dei cicli di programmazione della Politica di Coesione.

Le perplessità dell'Ue sono il frutto di monitoraggi continui e di "visite di controllo" come quella della Commissaria Ferreira nei giorni scorsi a Napoli, Bari e Palermo: «La Puglia è la migliore per assorbimento delle risorse europee, Campania e Sicilia fanno fatica. È la dimostrazione che non basta avere i soldi se non c'è una visione comune su come utilizzarli. Ecco perché politica e imprese private devono andare sempre nella stessa direzione», dice Grech. Che peraltro non disconosce quanto di buono si è realizzato al Sud con i fondi europei: «Palermo esemplifica è la seconda città europea per collegamento ferroviario diretto tra l'aeroporto e il centro città. E il suo nuovissimo ospedale sta attirando giovani medici siciliani a tornare a casa per lavorarci».

Resta però forte la sensazione di un ritardo complessivo del Sud: non a caso, sempre ieri, Alessandra Proto, Direttrice del Centro Ocse di Trento per lo sviluppo locale, dimostra che l'Italia è uno dei Paesi in cui le disuguaglianze territoriali e le disparità economiche e sociali si stanno allargando maggiormente come emerge dai dati relativi a Pil pro capite e istruzione. «Le distanze in termini di produttività territoriale sono ancora molto forti: il Sud è cresciuto meno della Germania Est (e poi della Germania unita), che nel 1990 era al di sotto dei suoi livelli economici».

In un quadro niente affatto confortante, però, le opportunità di crescita soprattutto al Sud ci sono e nemmeno poche. Le ricorda con la consueta chiarezza e coerenza il presidente dell'Abi Antonio Patuelli: non solo il Pnrr ma anche altri strumenti finanziari, come il Fondo di garanzia per le imprese, la Nuova Sabatini, o misure come "Resto al Sud" e gli Investimenti sostenibili 4.0: «Il fatto è che ci sono più chance che realizzazioni» dice Patuelli sottolineando comunque, in base ai dati Abi a giugno 2023 sui prestiti a imprese e famiglie, che il dinamismo del Sud è superiore alla media nazionale e a delle altre macroaree, a cominciare dal Centro che registra invece una preoccupante frenata. Pesano ancora le sofferenze lorde, soprattutto per le imprese, ma i depositi calano meno della media Italia e gli sportelli bancari e gli uffici finanziari, «ad agosto 2023, sono nel Mezzogiorno 4.850, più numerosi dei 3.788 del 1989, prima della liberalizzazione, ma nettamente inferiori ai 7.583 del 2008 in cui si registrò il massimo storico di diffusione». Luci ed ombre, insomma, ma anche la certezza, dice Patuelli, che senza Sud non ripartirà mai il Paese e che «le banche sono impegnate a sostenere convintamente gli investimenti delle famiglie e delle imprese nel Mezzogiorno, determinanti per lo sviluppo dell'Italia tutta e dell'Europa».

Per Costanzo Jannotti Pecci, presidente degli industriali napoletani, occorre però anche riproporre la centralità della questione meridionale che sembra aver perso appeal a livello politico. Tra i nodi da sciogliere in fretta, al netto di quelli sulla Zes unica e sul Fondo sviluppo coesione affrontati nell'intervista al Mattino dell'altro giorno, c'è quello dei Contratti di sviluppo: «Sono centinaia in attesa da mesi delle risorse da parte di Invitalia: perché allora non ricorrere ai fondi del Pnrr almeno per i Contratti già partiti? Sarebbe una risposta semplice e intelligente su come spendere le risorse del Piano», spiega Jannotti Pecci.
Critico invece sulla Zes unica Giorgio La Malfa, presidente della Fondazione intitolata al padre Ugo: «Una scelta del tutto incomprensibile» dice l'economista, che appare preoccupato anche sul fronte del Pnrr: «Soldi senza un programma vero e proprio», attacca. E aggiunge: «Ci voleva una nuova Cassa per il Mezzogiorno, affidata ad esempio a Mario Draghi, che partendo dai bisogni dell'area fosse stata capace di indirizzare le risorse là dove veramente occorrevano».

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