Decreto Sud, intervista a Costanzo Jannotti Pecci: «Zes unica solo con fondi certi»

«Le otto Zes poi rispondevano a una visione strategica che puntava a rafforzare importanti snodi portuali»

Costanzo Jannotti Pecci
Costanzo Jannotti Pecci
di Nando Santonastaso
Domenica 8 Ottobre 2023, 09:00 - Ultimo agg. 18:55
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Costanzo Jannotti Pecci, presidente dell'Unione Industriali di Napoli: le imprese appaiono prudenti sul Decreto Sud che ha iniziato l'iter parlamentare per la conversione in legge: cosa non vi convince?
«Partiamo dall'idea di coordinare la spesa delle risorse del Fondo Sviluppo Coesione attraverso specifici Accordi per la Coesione tra Palazzo Chigi e Regioni, uno dei punti significativi del Decreto: in linea di principio, siamo favorevoli. La volontà del ministro Fitto di ricondurre a una visione unitaria il complesso degli investimenti progettati, sia in ambito Pnrr sia sul fronte più specifico della coesione territoriale, è condivisibile, alla luce dei risultati poco soddisfacenti prodotti da mezzo secolo di regionalismo».

Che non a caso vi ha sempre visti molto critici
«Per il Sud questo coordinamento nazionale può essere la garanzia di una ritrovata centralità della questione meridionale, non solo a parole ma nei fatti: soprattutto dopo la famigerata riforma del Titolo V il divario territoriale si è infatti aggravato.

Di conseguenza, tornare sui propri passi rappresenta un progresso, significa riconoscere il parziale fallimento di un decentramento irrazionale, un federalismo all'italiana, incompiuto, che ha finito per sottrarre risorse ai territori meno sviluppati per darle alle regioni più ricche»

E la riforma dell'Fsc prevista dal Decreto Sud aiuterebbe, dal vostro punto di vista?
«Sarà importante destinare una consistente quota delle risorse agli strumenti per l'attrazione degli investimenti e la crescita delle imprese, come i contratti di sviluppo».

Insomma, le regole del gioco.
«Esattamente. È peraltro evidente che, se si stabilisce che le risorse dell'FSC devono essere utilizzate sulla base di Accordi, bisogna sapere cosa succede se a queste intese non si perviene. Occorre, da un lato, stabilire il primato dello Stato in presenza di interessi che travalichino l'ambito regionale, a dall'altro salvaguardare le specificità territoriali nella individuazione di vocazioni e opzioni di intervento».

Per questo chiedete come Confindustria di essere più coinvolti?
«In questo scenario, il ruolo delle associazioni rappresentative delle categorie economiche e di altri soggetti sociali può contribuire in misura determinante alla concretezza delle scelte. Purché si stabiliscano percorsi chiari e con tempistiche ragionevolmente serrate. Il rilancio del Sud non può più attendere. Sempre in questa ottica, va assicurata anche la permanenza del vincolo territoriale di destinazione delle risorse, da utilizzare all'80 per cento sempre e comunque nel Mezzogiorno, anche se venissero riassegnate al Fondo per mancato rispetto del cronoprogramma di determinate opere».

Altro nodo, la Zes unica: favorevoli?
«La decisione di istituire una Zes unica per il Mezzogiorno ha l'indubbio vantaggio di favorire un'operazione di marketing territoriale finalizzata all'attrazione di nuovi investimenti. Sapere che in tutta la macroarea vi sono condizioni di vantaggio permette ai potenziali investitori di fruire di maggiori possibilità di scelte localizzative. Vi sono peraltro una serie di argomentazioni di segno contrario che non possono essere trascurate, non dico per rivedere la decisione ma per evitare che possa trasformarsi in un boomerang».

Proviamo a dettagliare, presidente.
«Sul piano pratico, è innegabile che le otto Zes costituite avevano cominciato a decollare. Il ministro Fitto ha sottolineato che dal 2017 a oggi sono state rilasciate solo 121 autorizzazioni, ma bisogna considerare che la partenza vera e propria è avvenuta solo nel 2021, dopo la nomina dei commissari e il varo dello sportello unico digitale. È naturale avanzare la preoccupazione che si interrompa un percorso virtuoso finalmente avviato. Le otto Zes poi rispondevano a una visione strategica che puntava a rafforzare importanti snodi portuali, collegandoli ad aree di insediamento industriale e a poli logistici, nella prospettiva di una crescita complessiva del sistema produttivo. La Zes unica dovrebbe tener conto di questa priorità nel suo Piano strategico triennale».

Pensa che sia necessario far slittare la data dell'1 gennaio 2024 per l'entrata in vigore?
«Guardi, se non sarà operativa da gennaio, si continui con il lavoro delle otto Zes. Bisogna evitare che una possibile opportunità si trasformi in un collo di bottiglia, anche per quello che riguarda la speditezza delle autorizzazioni da concedere. La struttura preposta dovrà essere efficace e anche numericamente all'altezza di una mole di lavoro da disbrigare molto più elevata di quella finora svolta dalle singole Zes».

E le risorse da destinare alla Zes unica?
«Una criticità che avvertiamo nell'attuale impostazione, quanto meno nei termini di mancata chiarezza, è l'incertezza della disponibilità di determinate risorse. Penso ad esempio alla decontribuzione. Proprio Fitto aveva mesi fa anticipato una possibile svolta positiva: Bruxelles avrebbe acconsentito a renderla strutturale, senza limitarsi a rinnovare il beneficio di sei mesi in sei mesi, di proroga in proroga. Ma al momento non ci è giunta alcuna conferma. Ma ci preoccupa anche la previsione di rinnovare, per ora, soltanto per il 2024 il credito d'imposta per l'acquisto di beni strumentali da parte di chi opera nella Zes unica. Anche in questo caso, è importante definire misure strutturali e non di corto respiro». 

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