di Mario Ajello
Martedì 11 Agosto 2020, 00:00
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Nell’«Aereo più pazzo del mondo» - ma nessun velivolo è più pazzo della Capitale male amministrata in questi ultimi anni - c’è la proverbiale battuta di questo stratosferico film demenziale: «Ho scelto il giorno sbagliato per smettere di fumare». Così è anche per la Raggi. Ha scelto il giorno sbagliato, con altri due bus che vanno a fuoco, ennesima rappresentazione di uno sfascio conclamato, per annunciare che si ricandida. Ammesso, ovviamente, che Milano lo consenta, ovvero che arrivi dalla Casaleggio Associati la revoca del divieto dei tre mandati per gli esponenti grillini.

Il fatto è che, visto che ogni giorno Roma è aggredita da un’emergenza non controllata né prevista o dall’infinito riproporsi delle sue piaghe mai suturate, Virginia non avrebbe potuto trovare il momento giusto per riproporre se stessa. Ed è una notizia prevedibile che la sindaca, a dispetto dell’evidenza, voglia riprovarci. Ma non è certo una buona notizia per i romani.

Altri cinque anni di buche, spazzatura, gabbiani in lotta con i topi, writers e bancarellari, centurioni, roghi e suk e perdita di orgoglio e di status nazionale e internazionale? Ormai è quasi inutile indignarsi, perché gli elettori sanno bene come comportarsi nelle urne, hanno preso il vaccino, gli anticorpi sembrano esserci e non vale la pena stracciarsi troppo le vesti di fronte all’improbabilità di un ritorno al futuro che è stato un incubo.

Quel che colpisce è il finto candore con cui Virginia, come se nulla fosse accaduto in questa stagione della storia di Roma catalogabile alla voce «peggio di così non si poteva», ripropone il passato di un’illusione. Quella che per governare una grande capitale occorra un nuovismo che non diventa mai esperienza, un’attitudine all’inefficienza spacciata per discontinuità. E ostinatamente condita, anche in queste ore, con il ricorso stantio e rivelatosi incapace di rispondere ai bisogni delle persone, della predicazione retrospettiva: «Non ci sto ad apparecchiare la tavola per quelli di prima», proclama la Raggi.

Fuori dagli espedienti retorici, il vero cambio di passo urgentissimo, nel governo di Roma, sta nell’avere la consapevolezza che mai come adesso l’Italia in fase di ricostruzione post-Covid ha bisogno della sua Capitale e che Roma non può consentire a se stessa e al Paese che rappresenta di galleggiare sul disastro o di continuare a scendere nell’abisso che ogni giorno i suoi cittadini toccano con mano. L’annunciato bis della Raggi, in una situazione normale, non dovrebbe stupire affatto. Non è naturale che un sindaco dopo il primo mandato cerchi il secondo, per continuare la sua opera? Certo che lo è. Ma è stata così tutta anomala, nel senso che niente è andato come sarebbe dovuto andare, l’amministrazione capitolina di questi anni che riproporre il doppione suona come un brutto scherzo o come un provocazione. Di tipo anti-popolare, per un movimento che del popolo, nell’accezione populista, si riempie la bocca. 

Roma la si ama, se la si rispetta. Ma volerla per il futuro somigliante a quella in corso significa non darle tutta la considerazione che merita. E sta in questo, prima ancora che nelle considerazioni politiche che legittimamente la Raggi e M5S possono avere, il torto contenuto nel rilancio (moscio) della sindaca. Non possono essere più i romani a pagare gli errori di una sindaca che non governa la città, ma non vuole arrendersi al fallimento, e un governo nazionale impegnato nel rilancio del Paese dovrebbe essere il primo a capire che c’è bisogno di un’altra Roma e non di questa.
 
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