Firenze, confessa il killer della donna crocifissa: «Sono un uomo finito». Il pm: «E' l'uomo della porta accanto»

Firenze, confessa il killer della donna crocifissa: «Sono un uomo finito». Il pm: «E' l'uomo della porta accanto»
di Renato Pezzini
Sabato 10 Maggio 2014, 09:02 - Ultimo agg. 14:59
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FIRENZE - Il pm Canessa, lo stesso che ha indagato sul Mostro di Firenze, dopo averlo interrogato per quattro ore, lo descrive cos: L’uomo della porta accanto.

Un insospettabile, un tipo dai modi mansueti, tranquillo, uno in cui è difficile intravedere una luce di follia negli occhi. E anche lui, Riccardo Viti, si descrive in qualche modo nella stessa maniera. «A me le ragazze non mi hanno mai voluto». Per questo, dice provando a spiegare e a spiegarsi, ha cominciato ad andare con le prostitute fin da quando era un ragazzo.

LA TRASFORMAZIONE

Maniaco, Riccardo Viti, lo è diventato con il passare del tempo, lentamente. All’inizio lungo i viali di Firenze cercava soltanto qualcosa che le coetanee non gli volevano dare: un po’ di sesso. «Poi col tempo ho cominciato a eccitarmi con il sadismo». Racconta, durante l’interrogatorio di ieri, che gli piacevano molto i fumetti porno giapponesi, che gli piacevano le storie e le immagini di sesso violento, di sopraffazione. E così nei suoi frequenti viaggi alle Cascine o alla stazione di Prato cominciò a chieder qualcosa di più, qualcosa di diverso: «Voglio legarti, ti voglio nuda», ripeteva alle ragazze che abbordava.

Tutto questo di notte. Perché di giorno, invece, Viti era il figlio (unico) devoto e buono, grande lavoratore, magari soltanto un po’ impacciato, che frequentava la Federazione dei giovani comunisti, che aiutava il padre idraulico, che aggiustava lavatrici e rubinetti con grande perizia e impegno. Gli affari andavano anche bene. O meglio: sono andati bene fino a qualche tempo fa, poi per colpa della crisi i clienti sono diminuiti, le richieste di intervento pure. Tanto che negli ultimi anni Riccardo faceva più che altro il casalingo e i soldi li portava a casa la moglie, impiegata come operaia in un’azienda di pulizie.

LA MOGLIE

Già, la moglie Oksana, arrivata dall’Ucraina dieci anni fa con un figlio grandicello, incontrata da Viti chissà dove, e sposata all’improvviso per poter dire anche a sé stesso che, in un mondo in cui «le ragazze non mi hanno mai voluto», almeno una se l’era preso come marito, e la portava a ballare alla Casa del Popolo con orgoglio. E poco importa se lei fosse soprattutto interessata a levarsi di dosso l’etichetta di clandestina grazie al matrimonio. I genitori l’avevano accolta bene. E fra il loro appartamento e quello del figlio, sullo stesso pianerottolo, avevano aperto un varco. Una sola grande famiglia.

L’INIZIO

Il matrimonio è del 2005. L’anno dopo inizia, almeno stando alle carte giudiziarie che risultano fino ad oggi, l’attività di maniaco di Viti. Carica una ragazza dell’Est sul viale di Novoli e la porta sotto il viadotto di Ugliano abbandonandola nuda e dolorante dopo averne abusato con un tubo di ferro. E da lì va avanti. Aspetta che Oksana si addormenti, visto che deve svegliarsi presto per andare al lavoro, e poi va a «distrarsi un po’». Perfeziona il rito, lo affina, lo rende sempre più cruento. Se la prostituta gli garba, la lega e la possiede. Se non gli piace, usa bastoni, o barre metalliche, o bottiglie di vetro per infierire. Gli sembra una cosa normale: «Io pagavo, e loro erano consenzienti. Mi piaceva vederle soffrire, ma solo un po’. Se si mettevano a urlare o reagivano male mi spaventavo e scappavo, lasciandole lì. Ma non volevo far loro del male». Gli piaceva pensarla così.

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