Sono passati quasi tre anni dalla morte di Daniele Furnaro. Il parrucchiere 47enne, si è sentito male il 27 gennaio 2020, ma una volta chiamati i soccorritori del 118, si è visto diagnosticare «solo un po' di febbre alta». «Passerà», gli dicono gli operatori. Ma la febbre non solo non passa. L'uomo si aggrava e nel pomeriggio dello stesso giorno richiede un secondo intervento dell'ambulanza.
Stavolta lo portano in ospedale, al policlinico Casilino di Roma, e dopo tre ore di attesa dall'ingresso, viene visitato.
Il giudice non chiude il caso
Il responso dell'autopsia dirà che Furnaro è morto a causa della sindrome di Waterhouse. Ma la famiglia ha denunciato per chiarire eventuali responsabilità dei medici. Dopo l'indagine, il magistrato chiede un'archiviazione che non dà risposte alla famiglia Furnaro. E il gip non la concede, riporta Repubblica.
Clementina Forleo, giudice delle indagini preliminari, riapre il caso: «La relazione di consulenza medico legale espletata su incarico del pm, se da un lato esclude condotte colpose dei sanitari che ebbero in cura il giovane, dall'altro nulla riporta in ordine all'omesso ricovero della mattinata di quel giorno nonché in ordine all'evidente ritardo (ore di attesa) con il quale il predetto venne per la prima volta visitato. Per tali motivi la richiesta di archiviazione non può allo stato essere accolta». Adesso il fascicolo è tornato nelle mani del magistrato.
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— Leggo (@leggoit) December 4, 2022