Vittorio Emanuele Parsi: «Tre colpi sul diaframma e sono quasi morto. Ero nell'ade e vedevo le anime. Mi ha salvato il volto di Tiziana»

ll professore e noto politologo racconta come è finito in terapia intensiva e in coma. E come è riuscito a guarire

Vittorio Emanuele Parsi, 62 anni
Vittorio Emanuele Parsi, 62 anni
di Mario Landi
Venerdì 16 Febbraio 2024, 10:00
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Due giorni dopo Natale, il 27 dicembre, mentre parlava sul palco a Cortina, Vittorio Emanuele Parsi, 62 anni, professore ordinario di Relazioni internazionali alla Cattolica di Milano e rinomato esperto di geopolitica, ha accusato un forte dolore al petto. Poche ore dopo il politologo era in sala operatoria, un intervento in extremis per salvare la vita. Poi la terapia intensiva e il coma per giorni. Una lenta e costante ripresa che ha raccontato in un'intervista al Corriere della Sera. Parsi dice di essere vivo «grazie al volto di Tiziana» Panella, giornalista di La7 che conduce Tagadà e sua compagna da due anni. 

«Ho sentito tre colpi sul diaframma, come fossi in apnea.

Da sommozzatore sai che quando li senti devi riemergere, è l’ultimo avvertimento. Ho capito che c’era qualcosa di grave. Finita la conferenza, ho chiesto che si chiamasse un medico», racconta così l'inizio di tutto. Si pensa a un infarto. Ma i primi esami sono negativi e lui a quel punto pensa che sia tutto a posto. Ma invece finisce a Belluno in ambulanza. Qui il primario di cardiologia Alessandro Di Leo gli spiega che la situazione è invece gravissima. 

«La mia - racconta sempre Parsi al Corriere - era una dissezione dell'aorta. Mi hanno portato con l’elicottero a Treviso, dove ho trovato chirurghi di eccellenza, come Francesco Battaglia, Antonio Pantaleo e Giuseppe Minniti». Rimane a rischio vita per giorni: «Ricordo tutto il periodo in coma. Uno Stige, un fiume melmoso, nero, che stava sotto i miei piedi, come Ulisse e Achille. Ricordo di avere visto le radici degli alberi da sotto, come fossi in un crepaccio. E di tanto in tanto, voci lontane». 

Parsi dice che ha pensato spesso di morire. «Poi ho pensato alle mie figlie e a Tiziana. Ho visto il suo volto, volevo rivederlo. È chiaro che non volevo lasciare sole neanche le mie figlie, ma in qualche modo prima o poi i figli li lascerai. Ho parlato con mia madre e con mio padre, che non ci sono più: “Datemi una mano voi, non è il momento di raggiungervi”. È stato allora che ho materializzato nella mente quegli omini di gomma che si lanciavano sul vetro e si appiccicavano e salivano e scendevano... Ecco, ho visto me stesso un po’ come uno di quegli omini, a risalire l’immenso crepaccio, con tutta la fatica del mondo. E quando poi sono arrivato in cima ho aperto gli occhi. E ho visto Tiziana che era lì con me».  

Alla domanda se la sua è stata un'esperienza premorte risponde così: «Penso fosse l’Ade. Il fiume in cui stanno le anime morte. Non ho visto nessuna luce, nessuna speranza che non fosse quella di lottare per vivere. Forse quando si muore la sensazione è quella di un abbraccio. La morte la viviamo come spaventosa, io non ne ho mai avuto grande simpatia, non nutro aspettative su quello che verrà dopo. Però la cosa che mi ha sorpreso è che non provavo paura». 

Parlando della compagna, Parsi racconta che «lei ha un soprannome che le ho dato, che dipende da vicende non fortunate che l’hanno riguardata. È “cerottino”. Ero convinto di essere io quello forte. E invece devo dire che la sua forza è emersa a darmi una grande serenità». Poi si dice stupito della solidarietà di tanti che ha ringraziato. E dice che adesso la sua vita cambierà 

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