Terra dei Fuochi, la Corte d'Appello confisca il tesoro dei Pellini

Respinte le istanze della difesa. Ora la parola passa alla Cassazione

La protesta davanti al tribunale
La protesta davanti al tribunale
Leandro Del Gaudiodi Leandro Del Gaudio
Domenica 2 Luglio 2023, 00:02 - Ultimo agg. 17:55
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I giudici blindano il tesoro dei Pellini. Pochi giorni fa, la Corte di Appello di Napoli ha depositato il provvedimento di confisca del tesoretto che era stato sequestrato nel 2019 ai fratelli imprenditori specializzati nel campo dei rifiuti, ritenuti responsabili di aver inquinato un pezzo territorio dell’area metropolitana. Oltre cinquanta pagine firmate dalla corte di appello di Napoli, presidente Vittorio Melito, a latere Carlo Alifano e Mario Ruberto Gaudio, per rigettare la richiesta dei tre fratelli manager e confermare il provvedimento di primo grado.

Un verdetto, quello della ottava appello, che va a scavalco rispetto alla questione di inefficacia che era stata sollevata alcuni mesi fa dalla difesa dei Pellini, come svelato dal Mattino un mese fa.

In sintesi, i giudici non hanno dato peso alle conclusioni difensive, secondo le quali il sequestro aveva perso efficacia, dal momento che erano trascorsi i 18 mesi disposti - come termine perentorio - per firmare un provvedimento di secondo grado. Nei prossimi giorni (udienza del 13 luglio) ai magistrati della ottava appello non resterà altro che ribadire l’avvenuta confisca.

Un caso che non è ancora formalmente chiuso, dal momento che, dopo aver ricevuto la notizia dell’avvenuto deposito del provvedimento di confisca, la difesa dei Pellini non è stata a guardare. E ha formalizzato un ricorso per Cassazione, con il quale si chiede ai giudici dells Suprema Corte di intervenire sul caso dei milioni sequestrati ai Pellini. Più in particolare, il ricorso delle difese fa leva su un doppio binario: da un punto di vista formale, si chiede di annullare la confisca, dal momento che i giudici di appello si sarebbero espressi in ritardo rispetto ai 18 mesi offerti dalla legge per la valutazione del caso; si chiede di intervenire anche sotto il profilo del merito, dal momento che i legali si dicono convinti dell’estraneità alle accuse dei tre principali soggetti coinvolti in questo caso giudiziario. Un braccio di ferro che va avanti da tempo e che riguarda uno dei filoni principali delle inchieste sulla cosiddetta terra dei fuochi. In sintesi, i fratelli Giovanni, Cuono e Salvatore Pellini erano stati condannati per traffico illecito di rifiuti, al termine delle indagini condotte dal pm Maria Cristina Ribera (magistrato in predicato di assumere il ruolo di procuratrice aggiunta nella Procura di Nola), incassando una pena definitiva a sette anni di reclusione. Poi sono scattate indagini patrimoniali, culminate nel sequestro di beni per 200 milioni di euro. Difesi dai penalisti Francesco Picca, Stefano Preziosi e Paola Tafuro, i tre manager si sono sempre difesi, sostenendo la propria estraneità rispetto alle accuse vibrate dalla Procura di Napoli. 

Una volta incassato il sequestro bis, ecco l’appello dei difensori, rispetto al quale ci sarebbe stato un ritardo nella definizione del giudizio di secondo grado da parte dei giudici della ottava appello. L’ultima udienza si è tenuta giovedì otto giugno, quando in aula si è registrato una sorta di colpo di scena. L’udienza è saltata, è stato disposto il rinvio dell’udienza al prossimo 13 luglio, per una momentanea indisponibilità di un giudice. Ma la svolta si è registrata appena pochi giorni fa, quando il collegio ha firmato il provvedimento di confisca, con una notifica alle parti (al di fuori dell’udienza) che ha fatto scattare le contromosse difensive: ricorso per Cassazione, attesa per il nuovo verdetto. Sarà la Suprema Corte ad esprimersi nel merito dei punti toccati dai difensori: la questione dell’efficacia del sequestro è ancora attuale? Il provvedimento di confisca è formalmente inattaccabile? Bisognerà ora attendere la Cassazione, una nuova battaglia legale tra avvocati e pubblica accusa, a proposito del più importante procedimento messo in campo su beni legati allo scempio della cosiddetta terra dei fuochi. 

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