Racket, colpo al «sistema Pozzuoli»: sei anni di carcere al ras delle bibite

Condannato anche un complice dell'estorsore, la vicenda dopo una tangente chiesta a un imprenditore

Racket
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di Gennaro Del Giudice
Giovedì 6 Luglio 2023, 10:24
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Tre rate da 2mila e 500 euro all'anno per «stare tranquillo». Era questa la richiesta avanzata dai nuovi gruppi di camorra di Pozzuoli che per nome e per conto del clan Longobardi-Beneduce, tenevano in vita la cosiddetta «estorsione ambientale» nella cui rete era finito anche il titolare di un ingrosso di bibite. «Rata di Pasqua», mai denunciata dalla vittima, che nel marzo dello scorso anno ha portato in manette un ras emergente, a capo di un sodalizio nato tra i quartieri di Monterusciello e Rione Toiano: si tratta di Emilio Capasso, 39 anni, che ieri mattina è stato condannato a 6 anni di carcere per estorsione proprio ai danni del grossista di bibite. La sentenza, al termine del processo svolto con rito abbreviato, è stata emessa dal Gip della diciottesima sezione del Tribunale di Napoli. Nei confronti di Capasso - difeso dall'avvocato Luca Gili - il pubblico ministero aveva chiesto una condanna a 10 anni.

Insieme a lui è stato condannato a 5 anni e 4 mesi di reclusione anche il 44enne Antonio Fariello detto "forte abbracci", per il quale è stata riconosciuta l'estraneità al clan.

I due, all'epoca dei fatti contestati, erano stati fermati dai carabinieri della sezione operativa di Pozzuoli mentre stavano per lasciare il deposito di via Campana, teatro dell'estorsione.

Nel bagaglio dell'auto sulla quale viaggiavano, una Nissan Qashqai, fu rinvenuto un cospicuo quantitativo di bibite mentre addosso a Fariello la somma di 2 mila e 500 euro suddivisa in banconote da 50 euro, ritenuta la rata del pizzo pagata dall'imprenditore. Altri indizi emersero dalle immagini delle telecamere di videosorveglianza dell'attività commerciale, che ripresero i due entrare e uscire dagli uffici del deposito in due differenti momenti a distanza di poche ore, e le testimonianze di terze persone che portarono gli inquirenti a chiudere il cerchio attorno ai due.

In particolare sulla somma in possesso di Fariello le indagini hanno portato a smentire quanto dichiarato dall'uomo, il quale sosteneva che quei soldi sarebbero serviti per pagare il fitto dell'attività commerciale della moglie, un dipendente e il proprio commercialista. Quadro indiziario che ha trovato riscontro anche nelle dichiarazioni di alcuni pentiti di camorra, tra cui Antonio Ferro, che ai magistrati ha raccontato del sistema estorsivo in atto tra Pozzuoli e Quarto e delle richieste della camorra al titolare di quell'ingrosso di bibite, il quale ha sempre negato di aver subito richieste di pizzo «I titolari sono vari fratelli-raccontò in un verbale Ferro, a capo dell'omonimo clan poi sciolto dopo l'operazione Iron Men del 2016- pagavano 2.500 euro tre volte l'anno». Un «sistema Pozzuoli» raccontato dai pentiti che ha portato a fare luce su una distribuzione dei proventi delle estorsioni al 50% tra i gruppi di Monterusciello e Toiano con una quota da versare alle famiglie dei detenuti e un pizzo di 5mila euro a settimana per la gestione delle piazze di spaccio.

Nella morsa del racket erano finiti praticamente tutti: supermercati, venditori del mercato ittico di Pozzuoli, sale scommesse, cantieri edili, navali, negozi di abbigliamento. Uno dei capi era proprio Emilio Capasso che secondo il pentito di camorra Antonio D'Oriano «riscuoteva anche le estorsioni ai cosiddetti "mugnanesi" al mercato ittico di Pozzuoli».

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