Stupro al parco Verde di Caivano, intervista al vescovo Spinillo: «Inviterò papa Francesco a venire qui»

«La gente deve riacquistare la fiducia nelle istituzioni educative e amministrative. Serve una scossa a chi amministra, non servono scusanti o pretesti»

Lo stupro al parco Verde di Caivano
Lo stupro al parco Verde di Caivano
di Francesco Vastarella
Domenica 27 Agosto 2023, 11:00 - Ultimo agg. 28 Agosto, 08:10
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Monsignor Angelo Spinillo, vescovo di Aversa, è morta la speranza in questo pezzo della sua diocesi, Parco Verde di Caivano, dove i bambini finiscono per essere uccisi, violentati, cresciuti nella logica della sopraffazione?
«La speranza non è morta. Né potrà morire. Non finirà mai il desiderio di bene di tanta gente che abita lì sebbene, in un clima di violenza e di omertà, avvengono episodi drammatici. Conosco la realtà del Parco Verde, abbiamo il dovere di tenere viva la speranza».

Noi chi?
«Tutti. Noi come Chiesa. Facciamo molto, ma non è mai abbastanza.

Don Maurizio Patriciello, come altri miei confratelli, ha esposto anche se stesso per costruire, pietra dopo pietra, il bene di una comunità di uomini, donne, bambini costretti a vivere in un ambiente dove i segni della solidarietà e della fiducia sono oscurati. È una Chiesa che denuncia e trova il coraggio di non tacere dinanzi all'orrore. Sono un grido di dolore le parole di don Patriciello: Sono addolorato ma non sorpreso».

Che segno la Chiesa intende dare? Parco Verde terra di missione?
«Proporrò a papa Francesco, in una eventuale nuova visita in Campania, di venire al Parco Verde. Sarebbe un segnale forte di attenzione, di vicinanza. Tuttavia sarebbe un momento significativo di un cammino lungo, difficile e non senza difficoltà anche per la Chiesa. Dobbiamo esserne coscienti per potere di più trovare il coraggio di andare avanti».

Nelle sue parole c'è noi. Qual è l'altra componente. Si riferisce allo Stato?
«Già. La Chiesa intende agire con la solidarietà, la vicinanza, la crescita cristiana della comunità. Anche lo Stato ha una missione nella comunità e non possono mancare segni, solidarietà, vicinanza. Se lo Stato lascia che cadano a pezzi parti di ciò che ha costruito, male purtroppo, al Parco Verde, che cosa dovrà dedurre chi vive in questa realtà? Che lo Stato li ha abbandonati, dimenticati, non ne ha considerazione. Se rischia di segnersi la speranza ancor di più rischia di morire la fiducia nello Stato. Purtroppo questo avviene».

Pensa a esempi concreti?
«A parte la visione complessiva che il posto offre, penso al capannone dove l'orrore sulle cuginette si è consumato. Conosco il posto. Un monumento all'abbandono. È di fronte a questo degrado che ci si sente più soli come persone e come comunità. Dove si dovrebbe costruire il momento di unione si realizza una cupa violenza tra le parti più deboli, i ragazzi. Faccio un altro esempio. Qualche anno fa c'era un teatro. Ho assistito a rappresentazioni anche io. Poi, il vuoto. Sono tornato sul posto di recente con don Patriciello. Che squallore abbiamo trovato. Lo Stato non può lasciare che le opportunità restino inutilizzate, sprecate. È una vergogna».

Come se ne esce?
«La gente deve riacquistare la fiducia nelle istituzioni educative e amministrative. Serve una scossa a chi amministra, non servono scusanti o pretesti».

Intanto, restano due vittime, le due cuginette abusate.
«Le due cuginette, da brividi pensare a quel che è successo, alla ferita che porteranno nel corpo e nella mente. E mi chiedo quante altre sono le vittime e quante altre sono le responsabilità».

Ricominciamo dalle vittime.
«Le cuginette vittime di una solitudine spaventosa, della mancata frequentazione della scuola. Dell'attenzione che, tanti saranno stati i motivi, sarà venuta a mancare da parte dei genitori o degli organismi sociali. Chi dialoga con i figli può cogliere delle difficoltà, un malessere. Non doveva, non poteva passare inosservata la mancata frequentazione della scuola. Riportarle in classe poteva essere un aiuto a fornire loro uno strumento di difesa, a sentirsi parte di un progetto e di un mondo diverso».

Passiamo alle altre vittime?
«Le famiglie, i genitori. E pensate che non siano vittime anche i carnefici, coloro che hanno abusato delle ragazzine? Sono ragazzi spaventosamente soli, allevati nella unica cultura della violenza e della sopraffazione, che unendosi in branco trovano una comunità che altrimenti non hanno. Trovano insomma, una possibilità di affermarsi nell'ambito del branco che ha le sue gerarchie».

Nel diabolico metodo di affermazioni stanno assumento un ruolo anche i video, la diffusione spavalda degli abusi via social. Che impressione le fa?
«Le tecnologia e i social sono strumenti che possono essere usati nel bene e nel male. Magari questi ragazzi nulla sanno di che cosa c'è dietro a questo mondo di conoscenze. Trascinarli nel mondo del sapere vero sarebbe un modo per farli crescere».

Le famiglie lamentano il fatto che le cuginette sono state sottratte ai loro affetti e mandate in comunità. È un altro torto subito mentre per i carnefici, tranne larrestato, non si sono ancora aperte le porte di istituti rieducativi.
«L'allontanamento dall'ambiente dove le violenze si sono consumate non è un male. È una possibilità che lo Stato offre con gli strumenti di legge di cui dispone. Un discorso analogo, ma in chiave diversa per i responsabili di questa tragedia: il tentativo di rieducazione, di vera crescita va fatto. Giusto che vadano in luoghi per scontare la loro colpa. Ma dovranno avere anche una chance per non uccidere la nostra e la loro Speranza». 

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