Crolli a Napoli, la vedova Ragozzino: «Mio marito morto invano, tanti in pericolo»

Ucciso dal cornicione, ancora in attesa di giustizia

Il dramma di Ragozzino
Il dramma di Ragozzino
Leandro Del Gaudiodi Leandro Del Gaudio
Lunedì 16 Ottobre 2023, 09:36 - Ultimo agg. 12:50
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Morto invano. Lo ripete più di una volta Grazia Ragozzino, vedova del commerciante di via Duomo Rosario Padolino, travolto dal crollo di un cornicione, l'otto giugno del 2019. Accanto alla figlia Rossella Padolino, ha assistito in questi anni alla recrudescenza di un fenomeno che nessuno ha ancora arginato: il crollo di pietre e calcinacci, che mettono a rischio la vita di cittadini e visitatori, per giunta nel periodo di massima espansione del turismo a Napoli. Parla oggi, a pochi giorni da una sorta di svolta processuale, dal momento che appena pochi giorni fa il gup del Tribunale di Napoli ha accolto le conclusioni della Procura (pm Stella Castaldo, aggiunto Simona Di Monte), nell'ambito dell'inchiesta sulla morte del commerciante.

In sintesi, al termine dell'udienza preliminare, due condòmini hanno patteggiato le rispettive condanne; è stata archiviata la posizione di altri due condòmini, mentre vanno a giudizio due amministratori e una pattuglia di una decina di altri inquilini. Dovranno affrontare un processo per crollo e omicidio, per non essere intervenuti a mettere in sicurezza il cornicione, nonostante ci fosse un'ordinanza ad hoc da parte del Comune. Un processo che fa da spartiacque, nel corso del quale la famiglia del commerciante colpito a morte da un masso ha deciso di costituirsi parte civile, affidandosi all'esperienza degli avvocati Roberto Rapalo, Claudia Simeoli, Antonio Costantino Peluso.

Ma torniamo alla testimonianza della vedova, all'indomani del rinvio a giudizio, ma anche degli ultimi episodi di crolli di calcinacci nel pieno del perimetro turistico cittadino.

Quattro anni dopo la morte di suo marito, si stacca un pezzo di parete di Maschio angioino, lato via Acton, mentre si registrano crolli di calcinacci in via Chiaia, dal ponte che era stato restaurato pochi anni fa. Cosa prova di fronte a questi episodi?

«Un enorme senso di impotenza. Speravo che, dopo la morte di mio marito e del piccolo Salvatore Giordano (via Toledo, 2014), ci fosse più cura dei nostri monumenti e dei nostri edifici storici. Mi accorgo che così non è avvenuto. Che non è bastato il dolore indelebile che si è abbattuto sulle nostre famiglie, per dare corso a una seria politica della manutenzione urbana».

In pochi giorni siamo passati dai crolli al Maschio Angioino al Ponte di Chiaia.
«Ed è un miracolo che non stiamo piangendo altri morti. Anche quando è stato colpito mio marito, venimmo a sapere che appena pochi attimi prima del crollo, lungo via Duomo, era passata una donna con un bimbo in carrozzino. Alla fine dobbiamo sempre accontentarci del male minore, come se non fosse un diritto sacrosanto quello di poter camminare in strada senza correre il rischio di essere lapidati».

Oggi abbiamo un primo verdetto, con il rinvio a giudizio di decine di condòmini e di due amministratori di condominio. Come commenta questo dispositivo?
«Chiedo che si vada avanti nell'accertamento delle singole responsabilità. In aula è apparso tutto così chiaro. Tempo prima del crollo che ha ucciso mio marito, c'era stata una ordinanza del Comune che imponeva l'eliminazione del pericolo per l'accertato dissesto delle facciate. Un'ordinanza rimasta lettera morta. Sul cornicione killer erano cresciute anche le piante».

Al netto degli esiti processuali, che ovviamente terranno conto anche delle versioni difensive, non è la prima volta che si registra un certo tipo di inerzia, non trova?
«Purtroppo i cittadini intervengono solo quando viene messo a rischio il proprio patrimonio, solo quando vengono toccate le tasche dei diretti interessati. In questo senso, il Comune avrebbe il dovere di intervenire nei confronti dei singoli condomìni, per imporre loro una manutenzione immediata, lì dove vengono ravvisati pericoli per la pubblica incolumità».

Chi era suo marito?
«Una persona onesta, dedita al lavoro e alla famiglia. Viveva per il suo quartiere, per il benessere della zona nella quale aveva avuto modo di crescere e di affermarsi come cittadino e come lavoratore. Si era battuto per il restauro di via Duomo, per rendere più vivibile una zona che oggi brulica di turismo, come ricorda una targa messa in suo onore dal sindaco nel 2021».
 

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