Arturo, il caso è chiuso: condanne definitive, il babyboss torna in cella

Arturo, il caso è chiuso: condanne definitive, il babyboss torna in cella
di Leandro Del Gaudio
Giovedì 7 Maggio 2020, 08:30 - Ultimo agg. 11:29
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È stato arrestato pochi giorni fa, ha fatto ritorno nel carcere di Nisida, dove ha incontrato gli altri due complici del branco. È tornato in cella F.P.C. il minore ritenuto responsabile del tentato omicidio di Arturo Puoti, nel corso di un'aggressione consumata in via Foria, a dicembre del 2017.

Per lui, come per i due complici, la svolta è arrivata in Cassazione, dove i giudici hanno respinto i ricorsi presentati dalle difese, confermando la condanna in appello a nove anni e quattro mesi. Diventata definitiva la pena per i tre imputati, è scattata poche ore dopo la notifica della misura cautelare. Ed è così che il più piccolo dei tre minori ha fatto ritorno in cella, dopo un periodo trascorso all'interno di una comunità, ma anche dopo qualche permesso che gli ha consentito di fare rientro a casa, sempre sulla scorta di problemi di salute. Tentato omicidio, rapina, in uno sfondo segnato da bullismo. Uno scenario costato la cella a tre dei quattro esponenti del branco che ferì Arturo con diverse coltellate al torace e alla gola. Nessun tentennamento da parte dei giudici della Suprema Corte, che hanno di fatto confermato il lavoro svolto dalla Procura dei minori guidata dalla procuratrice Maria de Luzemberger, comminando la stessa condanna per ognuno dei componenti del branco (salvo che per un quarto soggetto, all'epoca dei fatti under 14, quindi non ancora imputabile). Non ci sono state variazioni, ne modulazioni di pene in relazione alla condotta dei singoli esponenti del branco di via Foria, a voler confermare un concetto su tutti: i tre imputati hanno agito nella stessa direzione, con la stessa logica, seguendo gli stessi valori distorti. Bullismo puro, violenza gratuita (anche al di là della possibile rapina del cellulare), contro un ragazzo preso di mira perché «per bene», in quanto esponente dell'altra Napoli, quella alternativa al vicolo, alla strada. Ma torniamo alle manette scattate ai polsi di F.P.C.
 


Negli ultimi mesi, la sua sagoma non era passata inosservata, probabilmente sulla scorta di alcuni permessi che sono stati concessi al minore, per fare fronte ad alcuni accertamenti medici. Ora è stato tradotto a Nisida, dove avrà avuto modo di incontrare anche gli altri due responsabili del ferimento di Arturo, in un regime segnato comunque dall'esigenza di tenere i tre detenuti distanziati gli uni dagli altri, alla luce di un problema in particolare: come è noto, infatti, uno degli imputati ha confermato parte delle accuse nei confronti di F.C.P., quanto basta a rendere necessaria massima cautela nell'organizzazione della vita all'interno della casa circondariale minorile.

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Intanto, vanno avanti le indagini su un altro episodio collegato alla vicenda di Arturo, a proposito di un episodio avvenuto due mesi fa, all'inizio del lockdown napoletano. Ricordate quanto avvenne all'interno dell'edificio in cui vive la famiglia dello studente? In pochi minuti venne rubata la bicicletta elettrica di Arturo, come per altro ricostruito grazie alle immagini immagazzinate dalla telecamera di protezione all'interno del condominio. Un malvivente vestito con abiti scuri e volto coperto, un flex, pochi minuti per tagliare la catena e portare via la bicicletta. Un furto o un dispetto? Indagini condotte dalla polizia, si scava negli atti del processo nato dal ferimento di Arturo, non è difficile percepire il sentimento di rancore da parte di un pezzo di città nei confronti di Arturo e della sua famiglia, per la coraggiosa azione di denuncia che fece scattare le indagini per tentato omicidio.

C'è una frase intercettata su cui sono a lavoro gli inquirenti, pronunciata da un parente di uno dei quattro minori del branco: «Facciamo posare la polvere...», come a dire: facciamo passare il tempo necessario, che poi ci penso io a vendicarmi.
Parole che entrano in un'inchiesta che attende verifiche e riscontri, mentre - a distanza di meno di tre anni dall'aggressione nei confronti di un ragazzo inerme -, le condanne per tentato omicidio diventano definitive e i tre aggressori si ritrovano in carcere a scontare pene ormai inappellabili. 

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