Dove non è arrivata la pandemia, con lo stallo economico provocato dal lockdown, è arrivata la camorra. Quello che non ha fatto il coronavirus, è riuscito a fare il clan Contini. È questa la denuncia di un imprenditore napoletano costretto a chiudere la propria pizzeria e a emigrare in Inghilterra, dove ha intrapreso da qualche settimana un’altra attività economica, lontano da Napoli, lontano dai parassiti che chiedono il pizzo. È la storia di Vincenzo Fiore, vittima del racket, costretto a trasferire altrove il suo sogno di ristoratore. Una vicenda attuale, figlia della morsa in cui sono oggi stritolati i commercianti napoletani: da un lato il crollo delle attività, causa lockdown; dall’altro la camorra, che impone il pizzo o che presta soldi a usura. Scenario denunciato in tempo reale dai massimi vertici investigativi, che trova conferma negli arresti di due presunti estorsori, parliamo di Francesco Laezza e di Salvatore Sacco.
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Decisiva la denuncia della parte offesa. Siamo alla fine dello scorso agosto quando l’imprenditore decide di rivolgersi alle forze dell’ordine. Ha paura, sa di rischiare grosso, teme di finire vittima di una camorra che spara e ammazza, che incendia locali, che non dà tregua a chi si rifiuta di pagare il pizzo. E lui non ha accettato di versare la «quota», la rata estiva imposta dal clan Contini (che arriva dopo quella di Natale e Pasqua). E agli investigatori racconta la sua storia: «A giugno ho riaperto il mio ristorante ‘o Curniciello in zona piazza Nazionale, nel tentativo di riprendermi dopo il lockdown causato dal corona virus, quando sono stato avvicinato da tale Francesco, sempre spalleggiato da un suo presunto complice. Mi ha detto: “Non lo sai come ci si comporta da queste parti? Devi fare il regalo tre volte l’anno». Insomma, voleva il pizzo, ma non ha ceduto. A questo punto, l’imprenditore chiede informazioni agli altri colleghi che lavorano in zona, che confermano il pressing estorsivo messo in atto nei giorni della ripartenza, per conto di «quelli di rione Amicizia» (leggi clan Contini) o di tale “Gaetano cuore di ferro” (a sua volta identificato in un soggetto dei Contini, ma non indagato in questa storia). Rassegnato, ma deciso a non pagare, l’imprenditore tiene duro, subendo un crescendo di minacce. Viene speronato da uno scooter in sella al quale riconosce Francesco Laezza, ingaggia una colluttazione ma riesce a scappare. Poi ancora presenze moleste a orario di chiusura, quando c’è da spostare gli incassi. È il 29 agosto, l’imprenditore va a denunciare: «Ho paura per l’incolumità mia e della mia famiglia, soprattutto dei miei figli che sono sempre all’interno del mio negozio.
Denunce, testimonianze ricche di particolari, che vengono rafforzate anche dalle immagini del sistema di videoprotezione del negozio. Si vede la sagoma del probabile estorsore, che si guarda intorno per capire se c’è qualcuno affacciato ai balconi, prima di dare inizio al tentativo di danneggiamento. Sono ancora le immagini a mostrare il tentativo di infrangere la vetrata con i piedi, forse per gettare liquido infiammabile nel negozio. Episodi che spingono l’imprenditore a recarsi di nuovo negli uffici delle forze dell’ordine, per firmare una seconda denuncia: «Ormai ho capito che sono decisi ad andare fino in fondo, a nulla è servito provare a far capire che non avevo la possibilità, né l’intenzione di pagare la tangente. Ed è ancora il gestore del locale a ricordare il tentativo di indurre gli estorsori al ragionamento: «Avevo spiegato che con lo stop forzato di almeno tre mesi, di fronte a una ripresa lenta e incerta, segnata sempre dalle esigenze di distanziamento, non potevo versare il pizzo». Inevitabile, la chiusura del ristorante. Indagine condotta dalla Dda di Napoli, due arresti, è caccia a un terzo indagato che risulta irreperibile.