Coronavirus, i napoletani: «Tamponi e cure a casa: noi abbandonati al fai da te»

Coronavirus, i napoletani: «Tamponi e cure a casa: noi abbandonati al fai da te»
di Maria Pirro
Lunedì 9 Novembre 2020, 23:30 - Ultimo agg. 10 Novembre, 21:37
5 Minuti di Lettura

Loro sanno cosa significa emergenza Covid e cure fai-da-te. Quali sono le difficoltà nell’assistenza domiciliare, vissute in prima persona, che oggi spingono tanti altri napoletani colpiti dal virus a organizzarsi da soli per fare i tamponi e le terapie, a raggiungere l’ospedale direttamente, a bordo di ambulanze private oppure in automobile. Di giorno e di notte, in fila davanti al pronto soccorso. Senza aspettare indicazioni dei medici dell’Asl o del 118. Testimonianze che possono aiutare a migliorare l’organizzazione del sistema sanitario.

LEGGI ANCHE Covid, Rezza: «Aumento ricoveri giustifica più restrizioni» 

Angela Numeroso, gentilezza e stile, da anni lavora per l’Anaao-Assomed, il principale sindacato dei medici ospedalieri. Racconta al telefono: «Mercoledì scorso mi sono svegliata con la febbre e ho fatto il tampone, contattando un laboratorio privato tra quelli autorizzati dalla Regione Campania. Conclamata la malattia, il mio medico di famiglia, che è anche una amica premurosa, ha inserito il referto in piattaforma. E, il giorno stesso, ho iniziato la terapia, grazie all’affetto di tanti professionisti che conosco e lavorano in prima linea». Lei abita a Posillipo, la sua Asl di riferimento è la Napoli 1 Centro. «Ma, dall’azienda sanitaria, non ho ricevuto una sola telefonata.

Né di indicazioni sul da farsi, né per chiedermi informazioni, in modo da limitare il rischio di nuovi focolai. Difatti, due giorni dopo, anche mio marito ha accusato i sintomi dell’infezione ed eseguito il test (stessa procedura fai-da-te). Però, prima che ciò avvenisse, ho avvisato io il condominio per provvedere alla sanificazione del palazzo, e il salumiere e gli altri contatti di prossimità». A distanza di cinque giorni dalla diagnosi, Numeroso avverte: «Il sistema di sorveglianza sanitario, che dovrebbe tracciare ed evitare ulteriori contagi, è praticamente inesistente». 

Video

Carmela Rescigno è docente universitario e chirurgo d’urgenza al “Ruggi d’Aragona” di Salerno: «Da sempre in prima linea, questo ha fatto sì che fossi più esposta al contagio. Infatti, ho scoperto di essere positiva al Covid nei controlli di routine predisposti dalla mia azienda ospedaliera». Il primo choc. «Passare dall’altra parte, da medico a paziente, è stato destabilizzante», ammette. Poi, Rescigno, che vive a Nola, spiega di aver contagiato il figlio di 12 anni, motivo di un’altra preoccupazione. «Per tutto il periodo di quarantena, mio e suo, ho avuto una sola telefonata da parte di un operatore dell’Asl (la Napoli 3 Sud, ma ignoro la sua qualifica: non si è mai presentato) il cui unico interesse era prenotare anche a lui il tampone naso-faringeo. Non una domanda sullo stato di salute, eventuali sintomi o accenno alla terapia da praticare. Ma, visto che sono stata contattata al sesto giorno di malattia, ho comunicato io all’addetto l’esito del test effettuato privatamente al mio ragazzo. Le Usca, ovvero le unità speciali di continuità assistenziale? Non le ho mai viste». Rescigno, come referente per la sanità di Fratelli d’Italia, sostiene che nell’area vesuviana e sorrentina riescano ad assicurare un 10 per cento delle prestazioni necessarie, a causa dell’aumento dei casi e della carenza di medici e infermieri in organico. «Ma serve pure un potenziamento dei laboratori di analisi, per scongiurare ritardi». E aggiunge: «Nel mio caso, non conosco ancora il verdetto del test finalmente prenotato dalla Asl, anche se sono passati 9 giorni dall’esame. Ma, dopo 20 trascorsi in casa, ho ovviamente pagato i tamponi a un laboratorio accreditato in modo da poter nuovamente tornare a una vita quasi normale».  

LEGGI ANCHE Covid, report ministero Salute-Iss: «Situazione molto grave»

Giuseppe Tripaldi, avvocato del Vomero, è in attesa del risultato del tampone eseguito al termine di una odissea familiare che ricostruisce con precisione ma senza voler polemizzare. «Non credo sia colpa di nessuno, ogni operatore sanitario oggi fa quel che può, il carico di lavoro è enorme: piuttosto, sarebbe stato opportuno organizzare meglio la rete nei mesi precedenti, utilizzando il denaro pubblico per assumere personale e potenziare i servizi, di certo più utili del bonus vacanze», è questa la premessa. Dice il professionista: «Sabato 31 ottobre, mio padre, che ha 65 anni e vive a Grumo Nevano, ha iniziato a lamentare i sintomi del Covid. E ha prenotato il tampone». Positivo al virus, lievi comunque i disturbi. «Ma, con una certa difficoltà e dopo aver girato più farmacie, lo scorso week-end sono riuscito a procurarmi un saturimetro e ho comunicato i valori al medico di famiglia che ha suggerito di chiamare il 118. Per mezz’ora, domenica mattina, ho tentato inutilmente di riuscire a prendere la linea. E lo stesso ha cercato di fare mio padre, chiuso nel suo appartamento. Vista l’impossibilità di avere indicazioni, a quel punto l’ho accompagnato io al Cotugno, indossando una tuta, due mascherine Fp2 ed Fp3, una sull’altra». L’attesa per la visita, iniziata alle 11.30 circa, è proseguita per ore. Oltre dieci. Fino a sera. «Sono rimasto in macchina con mio papà e la bombola di ossigeno portata da casa. Intorno, numerose ambulanze private e alcune vetture. E, nel mio caso, così come per gli altri, gli infermieri hanno proceduto a eseguite un monitoraggio delle condizioni cliniche utilizzando le attrezzature dell’ospedale, fornendo ad altri le bombole d’ossigeno, se esaurite, all’occorrenza, sempre nel cortile esterno, e dando la priorità per l’accettazione ai pazienti più gravi, di codice rosso, che avrebbero dovuto essere intubati e poi trasportati in altre province, come Benevento, se non fuori regione, proprio per la grande affluenza e i posti letto esauriti nella struttura d’eccellenza e nei principali Covid Center». Per il signor Tripaldi, il ricovero è stato possibile prima in barella: «Dopo aver trascorso la notte nel pronto soccorso, il trasferimento al Monaldi».

© RIPRODUZIONE RISERVATA