Covid a Napoli, Fiorentino Fraganza va in pensione dopo 40 anni: «Dall'Aids alla pandemia, la mia vita contro i virus»

Covid a Napoli, Fiorentino Fraganza va in pensione dopo 40 anni: «Dall'Aids alla pandemia, la mia vita contro i virus»
di Ettore Mautone
Venerdì 3 Settembre 2021, 11:12 - Ultimo agg. 15:13
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Fiorentino Fraganza, 70 anni, dal 1980 al Cotugno dove era entrato per concorso da giovane specializzato in Anestesia. Primario della rianimazione assurta a principale trincea contro Sars-Cov-2 in Campania da due settimane ha lasciato le corsie per raggiunti limiti di età. Oltre 40 anni trascorsi al Cotugno a cavallo delle epidemie di Aids, affrontando gli echi della prima Sars nel 2002, i casi della suina H1N1 nel 2009, maneggiando i batteri della meningite, le sepsi, le encefaliti da morbillo.

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Una vita spesa nelle corsie del Cotugno: come ha iniziato?
«Dopo la laurea nel 1975 sono entrato in ospedale per concorso nel 1980.

Ero specialista dal 1978. Dopo gli esordi all'università, da gettonato, sono entrato al Cotugno».

Che ospedale era all'epoca?
«Era il post colera. Si curavano soprattutto le epatiti per le quali non c'era cura né vaccino. Vedevo le prime meningiti, molti casi di neuropatie infettive in cui il Cotugno è diventato progressivamente un punto di riferimento e la mia unità tra le migliori nella casistica a livello internazionale».

Poi l'Aids negli anni Novanta: un periodo di continui disordini...
«Sì, la malattia aveva un impatto soprattutto sociale. Alla fine degli anni 80 ci fu una escalation di casi. La Legge 135 del 1990 stanziò molti fondi di cui il Cotugno ha goduto, impiegati per ammodernamenti e ristrutturazioni. Passata l'emergenza Aids sono tornati utili per allestire in brevissimo tempo tutto il padiglione G in cui sono sorte la sub intensiva e una seconda rianimazione in chiave anti-Covid».

Appunto, il Covid? Ricorda il suo primo caso?
«Una donna di circa 65 anni. Arrivò in urgenza per trasferimento. Non sapevamo nulla della malattia. Era in condizioni critiche. Rapidamente fu intubata. Ci mise a dura prova per stabilizzarla ma quando credevo fosse fuori pericolo non rispondeva al risveglio. Aveva inaspettati danni neurologici. Decisi di effettuare una analisi del liquor cerebrale sospettando una infezione alle meningi ma non era così. Capimmo che la malattia era sistemica e che colpiva, nella fase infiammatoria, anche altri organi con le tromboembolie. La polmonite è solo una e la più evidente delle possibili manifestazioni».

Che idea si è fatto del virus e della malattia?
«Un virus micidiale che nella cura richiede uno sforzo clinico costante. Un paziente con la forma grave di malattia si può scompensare rapidamente da un momento all'altro».

Avete avuto un ruolo cruciale in Campania: quali i vostri punti di forza?
«Essere abituati a fronteggiare malattie infettive, avere scorte di dispositivi di protezione adatti all'Ebola, avere la formazione giusta, conoscere i percorsi e le metodiche da adottare. Per questo abbiamo avuto pochissimi contagi e decessi nel personale e anche bassi tassi di letalità nonostante arrivassero i casi più difficili. Appena scoppiò l'epidemia facemmo una riunione e fummo subito operativi».

Cosa resta dell'epidemia nel suo ricordo?
«Essere stati la sola rianimazione ad avere affrontato, all'inizio, il Covid in Campania. Avevo 6 posti letto poi saliti a 8 senza pressione negativa ma tutti in stanze singole. Ricordo la rianimazione sempre piena, i successi e le sconfitte. I volti dei colleghi. La centralità del nostro reparto nel Cotugno».

I colleghi la chiamano ancora per avere consigli?
«Capita ma ci sono alcuni validi specialisti che hanno capacità ed esperienza».

Cosa lascia come eredità?
«La struttura rimarrà nel piano aziendale anche se emerge un'ottica dipartimentale col Monaldi. È bene lasciare la specificità infettivologica. Ci sono giovani colleghi, arriverà un altro primario per concorso».

E il virus?
«È tremendo, mai vista un virus così difficile da affrontare. Muta e crea problemi clinici. Ritengo che la vaccinazione sia fondamentale come è importante anche fare la terza dose. Al calare degli anticorpi il virus provoca nuove infezioni anche nei vaccinati. Serviranno richiami».

Si troverà una cura?
«Credo sia difficile al momento».

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