Isa Danieli, in scena regina o prostituta un’attrice dai mille volti

Isa Danieli, in scena regina o prostituta un’attrice dai mille volti
di Maria Chiara Aulisio
Sabato 17 Ottobre 2015, 10:24 - Ultimo agg. 10:27
5 Minuti di Lettura
Il suo vero nome è Luisa Amatucci. Di farsi chiamare Isa, e poi Danieli, lo decise una bella mattina mentre a bordo di un autobus si dirigeva verso il teatro Eliseo. Abitava in periferia, Isa/Luisa, e per raggiungere via Nazionale passava sempre davanti alla vetrina di un negozio d’antiquariato che esponeva oggetti preziosi e bellissimi sotto l’insegna «Danieli».







E passa una, e passa due, e passa tre, la Amatucci decise che si sarebbe chiamata proprio così: Danieli di cognome e Isa di nome, «scenicamente» più efficace e suggestivo di Luisa. Peccato che per vedere il suo nuovo nome in cartellone fu costretta ad aspettare la stagione successiva perché ormai cambiare locandine, annunci e manifesti non era più possibile. Poco male, disse tra sè quella che sarebbe diventata una delle più grandi interpreti del teatro italiano, «non tengo manco 18 anni, ho tutto il tempo per fare conoscere al pubblico chi è Isa Danieli».



E chi è Isa Danieli?

«Lo volete sapere veramente?».



Certo.

«Una cameriera».



Una cameriera?

«La parte che mi faceva fare Eduardo. A me piaceva, mi divertivo pure assai, ma sempre col grembiule stavo».



A proposito di Eduardo. Quando ha cominciato a lavorare con lui?

«Ero giovanissima, poco più di una ragazzina, ma già facevo la sceneggiata».



A che età ha cominciato a fare teatro?

«E che potevo tenere? 14 anni, non di più. Ma io so’ figlia d’arte, in teatro ci sono nata. Mia madre è stata una delle prime voci di Radio Napoli, bravissima, si chiamava Rosa Moretti, faceva la sceneggiata pure lei».



E Eduardo?

«Fu una combinazione».



In che senso?

«Venni a sapere che c’era questo attore bravissimo, di cui parlavano tutti, io per la verità non lo conoscevo proprio, che aveva messo su una compagnia al San Ferdinando. Decisi di mandargli una lettera con la mia foto, ma lo feci soprattutto per una ragione».



Quale?

«Mi dissero che non dava più di uno spettacolo al giorno, io con la sceneggiata ne facevo almeno tre. E mi dissero pure che il pubblico stava zitto. Fino a quando gli attori stavano sul palco non fiatava nessuno».



Le sembrò strano?

«Strano? Mi pareva fantascienza. Non avete idea del pubblico della sceneggiata».



Com’era?

«Un casino. A parte che gli spettacoli non finivano mai, erano a entrata continua, e poi il pubblico interloquiva con gli attori, faceva chiasso, c’erano i bambini».



Pure i bambini?

«Hai voglia. Funzionava tipo asilo».



Ma che dice?

«Sì. Le mamme li accompagnavano a teatro e li piazzavano in prima fila, “statti zitto a mammà”, portavano pure ’o magnà e se ne ievano».



Addirittura?

«Un tormento perché poi ’sti bambini cominciavano a correre dappertutto creando il caos totale. Figuratevi la mia gioia quando seppi che esisteva un teatro senza bambini dove il pubblico stava zitto e applaudiva pure».



Perché il suo pubblico normalmente non applaudiva?

«Diciamo che se lo spettacolo piaceva piuttosto che applaudire rumoreggiava, se poi non piaceva erano fischi a murì».



Così decise di provare con Eduardo.

«Ma sì. Mi dissi: ci provo, male che vada non mi risponde».



Invece?

«Mi rispose. Non lui per la verità».



E chi?

«L’amministratore della compagnia. Mi telefonò, mi disse di presentarmi in teatro perché avrei dovuto sostituire una giovane attrice che aveva avuto un’appendicite».



Che fortuna.

«Bella combinazione. Dalla mattina alla sera mi ritrovai in palcoscenico a recitare Napoli milionaria “ha da passà ’a nuttata...“».



Che parte faceva?

«Una delle tre ragazze amiche di Gennaro Iovine, la più spuntuta...».



Che rapporto aveva con Eduardo?

«Ottimo. Sarà perché ero molto giovane, sarà perché forse manco avevo capito bene la grandezza del personaggio, ma ero l’unica che gli parlava con disinvoltura. Ricordo quando andai a salutarlo dopo la mia ultima rappresentazione».



Che cosa gli disse?

«Direttò io me ne vado, vi volevo salutare e ringraziare».



E lui?

«“Come? Te ne vai?” “Certo, ho finito la sostituzione. Non tengo il contratto, me ne devo andare per forza”. Chiamò Argeri, il suo mitico amministratore, e gli disse: “vedete nu poco sta guagliona, cercate a fa rimanè dinto a’ cumpagnia».



Quindi?

«Rimasi per quattro anni. Poi decisi di andar via».



Perché?

«Volevo fare l’avanspettacolo, per essere un’attrice completa dovevo imparare a ballare e cantare. Qui conobbi Trottolino e Rino Marcelli a cui devo davvero tanto così come a Gennaro Di Napoli a cui va il merito di avermi insegnato la sceneggiata».



A proposito di maestri...

«Beh, Roberto De Simone. Lo conobbi che aveva appena scritto La gatta Cenerentola, mi volle nel ruolo della lavandaia. Poi entrai in compagnia con Nino Taranto, altro grande artista, e a 37 anni incontrai la Wertmuller».



A tutto cinema.

«Inizialmente mi fece diventare primadonna con un grande successo teatrale, Amore e magia nella cucina di mamma. Poi recitai anche in diversi suoi film. Ma la mia grande soddisfazione fu Maccheroni con Mastroianni e Jack Lemmon».



Grandissimi attori.

«Mi pareva un sogno. Mi ricordo che dissi al mio agente “Uè, mettetevi d’accordo sulla cifra perché io sto film ’o voglio fa’. Anzi o’ faccio pure gratis... e quann mi ricapita nata vota“».



E Giorgio Strehler?

«Un grande incontro ma troppo breve, purtroppo. Lavorai con lui ne L’anima buona di Sezuan di Brecht: mi voleva per due anni, io potevo solo tre mesi. Poi arrivò Glauco Mauri e con lui interpretai un altro Brecht, Puntila e il suo servo Matti».



Ruoli sempre diversi.

«Sempre. A me piace fare tutto, mi diverte cambiare pelle, mi appassiona passare da nobildonna a procace e sensuale attricetta, dal ruolo di prostituta a regina, da buona a cattiva, fino a cattivissima».



Ha un ruolo che predilige?

«Li amo tutti. Anche se devo ammettere che Clotilde in “Ferdinando” è un personaggio che sento molto e poi è legato al ricordo di Annibale Ruccello, il suo autore, grande drammaturgo, che ha scritto uno dei testi più belli del Novecento, ma anche Luparella di Enzo Moscato».



Come si fa a riconoscere un talento?

«Lo capisco subito. Quando faccio i provini alla prima battuta mi accorgo se nun sanno fa niente».



CONTINUA A LEGGERE SUL MATTINO DIGITAL
© RIPRODUZIONE RISERVATA