Mutui alla camorra, 59 indagati: un notaio in affari col boss

Mutui alla camorra, 59 indagati: un notaio in affari col boss
di Leandro Del Gaudio
Domenica 26 Gennaio 2020, 23:30 - Ultimo agg. 27 Gennaio, 15:00
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Un bambino di pochi anni tenuto per mano e messo a penzolare all’esterno del balcone, in lacrime, di fronte ai genitori ammutoliti dal terrore, immobili con una pistola alla tempia. 

È una delle accuse mosse a Nicola Rullo, presunto boss del clan Contini e ad altri cinque uomini del suo clan, nell’ambito dell’ultimo filone di inchiesta sulla camorra ritenuta padrona di un pezzo di città. Violenze e minacce - a proposito del piccolo messo a penzolare all’esterno della ringhiera - che si consumano nel tentativo di rientrare in possesso di alcuni assegni ricevuti dalla coppia di genitori, a loro volta ritenuti responsabili di aver preso parte alla grande truffa dei mutui bancari. 

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Che storia è questa? È l’ultima inchiesta sul clan Contini, culminata in questi giorni nella notifica di 59 avvisi di garanzia, a carico di Nicola Rullo, di alcuni suoi presunti soci in affari e di un esercito di prestanome. È l’inchiesta sulla grande truffa dei mutui bancari, che consente di riscontrare il punto di contatto tra esponenti della borghesia cittadina e soggetti legati alla camorra sanguinaria, quella delle faide per il racket e per le piazze di spaccio. In sintesi, oltre a Nicola Rullo, finiscono sotto accusa il direttore di banca Vincenzo Montone, qualche anno fa al lavoro in una filiale della Unicredit (che va ritenuta parte offesa della truffa); Salvatore Giglio, titolare della «Il Giglio immobiliare». Sono ritenuti responsabili di aver creato un sistema finalizzato ad ottenere mutui di centinaia di migliaia di euro, con l’aggravante di aver favorito il clan Contini. È non è tutto: vanno ritenuti non colpevoli fino a prova contraria e potranno offrire la loro versione per ribaltare le accuse. Sotto inchiesta per riciclaggio il «notaio rogante» di alcune operazioni di compravendita della Giglio immobiliare ritenute quanto meno sospette: avrebbe offerto la propria competenza per avvantaggiare il clan Rullo. Verifiche in corso. Due Napoli raccontate in 28 pagine firmate dal pm Ida Frongillo, al termine dell’inchiesta condotta mesi fa dai pm Alessandra Converso e Ida Teresi, culminata in decine di arresti contro i Contini. Ma in che modo la camorra ha messo le mani sul sistema dei mutui? Si parte da un esercito di incensurati, quasi tutti disoccupati quindi non solvibili. Tramite i contatti con la Giglio immobiliare - scrivono gli inquirenti - venivano creati falsi attestati di lavoro, false buste paga e falsa documentazione fiscale: carte posticce, che servivano «a trarre in errore il funzionario dell’istituto bancario sulla sussistenza dei presupposti per la concessione del mutuo», ovviamente grazie ai (presunti) buoni uffici del direttore di banca e dello stesso notaio. È in questo modo che sono state portate a termine decine di operazioni, con mutui che variavano dagli ottantamila ai quattrocentomila euro, soldi poi serviti ad alimentare un doppio canale: a rafforzare le casse del clan, ma anche a ripulire proventi illeciti, sempre e soltanto grazie ad un incartamento costruito a tavolino. 

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È in questo modo che per rimettere in piedi veri e propri sottoscala, sono stati staccati ticket da centinaia di migliaia di euro, con le banche che hanno pagato decine di rate, prima di dichiarare lo «stato di sofferenza» del mutui, a causa di soggetti poi ritenuti «incapienti». 

Una vicenda che parte da lontano, a leggere le carte della Dda di Napoli. A fornire l’imbeccata giusta è il collaboratore di giustizia Ferraiuolo, che ha spiegato agli inquirenti che esiste un gruppo dei Contini specializzati proprio nella «mediazione immobiliare», nell’acquisto di case o nell’apertura di «aziende commerciali». È in questo scenario che sono stati di volta in volta selezionati i profili giusti dei potenziali prestanome, che avrebbero dovuto recitare la parte degli onesti impiegati desiderosi di mettere su casa, di ristrutturare le proprie abitazioni o di aprire un bar o una pizzeria. Tutto rigorosamente falso, tutto architettato da soggetti desiderosi di monetizzare o ripulire soldi sporchi. Ma cosa andava ai prestanome? Poche migliaia di euro, soldi che non sono neppure sufficienti ad affrontare un processo penale con l’accusa di aver preso parte a un sistema criminale targato Contini.

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Ed è in questo intreccio di interessi, che si verifica un litigio tra i presunti vertici dell’organizzazione, con un giro di assegni che vengono contesi tra Nicola Rullo e un soggetto residente nella zona del Lavinaio. È un giorno di giugno, quando il presunto reggente del clan Contini fa irruzione assieme ad altri cinque uomini nella casa di un ex socio in affari, per pretendere la restituzione degli assegni.

Momenti di tensione, spuntano le pistole, la coppia di coniugi immobilizzata, sotto scacco. Il clan rivuole i suoi assegni e, a scanso di equivoci, non si limita alle minacce verbali. Non si perde in chiacchiere Nicola Rullo, che spalanca la finestra che dà sul «Lavinaio», strappa dalle braccia dei genitori il bambino più piccolo e lo scaraventa al di là della ringhiera. Attimi di silenzio dopo tante urla e bestemmie, tante persone con il naso in su, ad assistere a quel bambino che piange penzoloni all’esterno del balcone. Tutti devono sapere, ma nessuno deve parlare. Eccolo il boss con la vita di un bimbo tra le mani, lui che fabbrica mutui e che parla con l’altra Napoli: quella delle banche e delle procure notarili. 

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