Napoli, Eduardo Granato morto giù dal quarto piano in via Duomo: ​si indaga per istigazione al suicidio

La Procura ha aperto un fascicolo sulla morte di Eduardo Granato, pizzaiolo di 28 anni

Eduardo Granato
Eduardo Granato
di Leandro Del Gaudio
Sabato 1 Luglio 2023, 22:59 - Ultimo agg. 3 Luglio, 07:57
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Un saluto agli amici di sempre, dopo una bella serata trascorsa a mangiare un panino e a bere qualcosa. Il “batticinque”, un messaggio alla fidanzata mentre si avviava sulla strada di casa. Poi il nulla. La morte. Inghiottito nella notte napoletana. Trovato senza vita in circostanze misteriose, al punto tale da spingere la Procura di Napoli ad aprire un fascicolo per istigazione al suicidio. Un’ipotesi, quest’ultima, che serve a tenere in piedi un’indagine, a svolgere accertamenti condotti sotto traccia dalla Mobile, in uno scenario in cui - facile dirlo oggi - silenzi e omertà fanno male quanto la scomparsa di un ragazzo di 28 anni.

È la storia di Eduardo Granato: faceva il pizzaiolo in uno dei locali di Sorbillo; una persona onesta, descritta come un gran lavoratore. Orfano, ma accudito da due sorelle maggiori, fidanzato con una ragazza di Matera, ben inserito nell’intero contesto napoletano: aveva preso in affitto una casa in via Tarsia, dove viveva con la fidanzata con cui aveva un progetto di vita serio e un cane, che amava come se fosse stato un figlio. Eduardo è stato trovato privo di vita lo scorso 25 gennaio, in circostanza decisamente strane. Un mistero: sarebbe volato giù dal quarto piano, all’interno del cortile di un palazzo storico di via Duomo, uno di quegli edifici in cui si entra solo se qualcuno al citofono ti apre il portone. C’è un particolare non insignificante, che conviene raccontare subito, per inquadrare l’intera vicenda: Eduardo non conosceva nessuno all’interno di quell’edificio. Dopo aver ascoltato tutti i condòmini, dopo aver visionato telecamere e aver esplorato cellulari e messaggistica istantanea, appare chiaro che non ci fosse alcun rapporto tra Eduardo e i residenti nel palazzo in cui è stato trovato morto. 

Inchiesta condotta dal pm della Procura di Napoli Vincenza Marra, che ha passato al setaccio l’intera sfera di relazioni di Eduardo, nel tentativo di comprendere cosa lo abbia spinto a fare il suo ingresso in quell’edificio. Ma torniamo agli ultimi istanti di vita del giovane pizzaiolo, restiamo a quanto è possibile raccontare alla luce di testimonianze e verifiche agli atti: la notte del 25 gennaio scorso, Eduardo incontra alcuni amici della sua cerchia di sempre. Mangia un panino, consuma uno spritz e una birra, nulla di particolarmente forte al punto da giustificare una condotta eccentrica o un proposito autolesionista. Da ragazzo generoso e disponibile qual era, paga il conto per sé e per gli amici - circa ottanta euro - facendosi poi accompagnare verso casa. È un giorno infrasettimanale, Eduardo viene accompagnato dall’amico di sempre in auto fino a piazza Trieste e Trento, dove chiede di scendere dall’auto e di proseguire a piedi, dal momento che la strada era bloccata dal camion della spazzatura. 

È da poco trascorsa la mezzanotte, quando saluta gli amici, con il rituale di sempre: il batti cinque, con il palmo della mano aperto, prima di sprofondare (non è chiaro in che modo) in una sorta di abisso.

Pochi minuti dopo, Eduardo non ha raggiunto casa. Ma ha fatto un percorso inverso. È entrato in quell’edificio di via Duomo. Non si sa perché, non si sa con chi. Era solo? Altra domanda: se aveva intenzione di suicidarsi, perché farlo in un edificio che non conosci? Andiamo avanti, alla luce di quello che si sa di questa storia: Edoardo sale al quarto piano, passando per le scale antiche del palazzo che ha la tipica corte spagnola al centro. Si arrampica su un cornicione e si lancia dall’alto in basso, perdendo anche una scarpa (forse era slacciata, seguendo la moda di oggi). Da allora il nulla. 

Una vicenda su cui le sorelle di Eduardo non arretrano, di fronte all’impossibilità logica di accettare la tesi di un suicidio, chiedendo di non chiudere il caso. Si sono affidate a uno specialista nel campo delle indagini difensive, dal momento che sono assistite dal penalista napoletano Luigi Ferrandino, che al Mattino dichiara: «Sono stato contattato dalle sorelle del giovane Eduardo Granato attraverso la Manisco Word, una delle associazioni più importanti al mondo per la ricerca di persone scomparse. Mi è stato chiesto di seguire, per loro conto, le indagini che la Procura di Napoli sta conducendo, perché convinte che il fratello non si sia suicidato ma sia stato vittima di un’aggressione. Mi impegnerò al massimo per trovare il colpevole della morte di Eduardo. Se un colpevole c’è io lo troverò». 

Ma torniamo alle indagini della Procura. In questi mesi, è stato ascoltato il datore di lavoro, gli amici, la fidanzata, le sorelle di Eduardo. Tutti hanno negato la presenza di disturbi della personalità o di istanze suicide. Anzi. Era contento dell’impiego, stava realizzando il sogno di fare il pizzaiolo lì, in piazza Trieste e Trento, in uno dei locali più gettonati da napoletani e turisti. Era sereno per la relazione vissuta con la fidanzata, si sentiva protetto dal calore umano delle sorelle maggiori, che lo hanno accudito negli anni successivi alla perdita dei genitori. Una vita senza ombre, anche secondo quanto sembra sia emerso in questi mesi di indagine, dal momento che non sono venuti fuori fatti scabrosi o retroscena segreti nella storia personale del 28enne. Non c’erano stati litigi, non sembra avesse amanti o una vita sentimentale complessa e segreta, non era neppure particolarmente attivo sui social, dove non sono spuntati commenti negativi o azioni di disturbo da parte di haters occasionali. 

Un mistero, che ruota attorno al palazzo di via Duomo. Un edificio dove vivono e lavorano professionisti, custodi della propria privacy, finanche straniti per quanto avvenuto a gennaio scorso. Per mesi gli inquirenti hanno cercato una traccia che potesse giustificare la presenza di Eduardo nel cortile dell’edificio. Non sono stati rinvenuti segni di effrazione all’esterno delle porte dei singoli appartamenti, a sgomberare il campo dall’ipotesi di un tentativo di furto in casa. Né c’è traccia di litigi, dentro e fuori i singoli appartamenti. Nessuno da queste parti conosceva Eduardo, come è apparso evidente da escussioni testimoniali, incroci di tabulati, analisi di chat e messaggistica istantanea. Sgomberata sul nascere anche un’ipotesi di scuola, a proposito di una possibile pista sentimentale, dal momento che gli inquirenti si sono trovati di fronte a famiglie di professionisti ben integrati nel contesto cittadino, lontani - anche per motivi generazionali - dalla vita di un giovane pizzaiolo. Un giallo, un mistero, nel corso del quale sono stati ascoltati anche gli amici di sempre, quelli dell’ultima birra, dell’ultimo drink prima del batti cinque: «Era tranquillo, sereno, abbiamo riso e scherzato, non c’era alcuna traccia di malinconia nel suo viso. Era perfettamente cosciente, come sempre padrone della situazione. Lo abbiamo lasciato, sapendo che sarebbe andato a casa. Nessuno di noi crede alla tesi del suicidio». 

Tocca a Stefania, una delle due sorelle, rivolgersi al Mattino: «Mio fratello non si è suicidato. Chi lo ha incontrato quella sera, chiunque sappia qualcosa, si passi la mano sul cuore e si faccia avanti». Inevitabile a questo punto una domanda: chi o cosa ha attirato Eduardo nel palazzo di via Duomo? 

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