La protesta dei trattori a Napoli: «Burocrazia e costi alti, a rischio novemila imprese»

Crescono i prezzi per il consumatore, ma i ricavi si perdono nei meandri della filiera, dei protocolli e della distribuzione

La protesta dei trattori a Napoli
La protesta dei trattori a Napoli
di Gennaro Di Biase
Giovedì 15 Febbraio 2024, 07:00 - Ultimo agg. 17:54
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Novemila imprese agricole tra Napoli e provincia a rischio fallimento, decine di migliaia di relativi posti di lavoro vicinissimi ad andare in fumo. Prodotti tipici, famosi in tutto il mondo, come il pomodoro del Piennolo, la mela annurca o il San Marzano potrebbero scomparire dalle tavole, dai negozi e dagli scaffali dei supermercati da un giorno all'altro. Questi sono i dati, decisamente pesanti, che emergono dall'arrivo della protesta dei trattori a Napoli. Oltre 100 veicoli, ieri intorno alle 11, sono approdati in via Marina, dopo essersi mossi da Acerra, il cui centro commerciale è la sede base dei trattori campani. Una sfilata fino al lungomare e al consolato Usa, passando da piazza Municipio. Quella di ieri, di conseguenza, è stata una giornata complessa per la viabilità cittadina mattutina. Il traffico è andato in tilt nelle ore della manifestazione. Gli agricoltori, simbolicamente, ieri hanno consegnato svariate casse della loro ortofrutta alla Mensa del Carmine. Nonostante il traffico, c'è stata tanta curiosità di turisti e napoletani per i manifestanti e la loro protesta. In particolare intorno agli alberghi di via Partenope.

Al centro delle richieste dei trattori c'è l'esigenza di aumentare la redditività per le diecimila imprese agricole che insistono solo tra Napoli e provincia. Troppo ampia - secondo le loro rivendicazioni - la forbice tra i compensi di chi coltiva i campi (bassi e fermi agli anni scorsi) e i costi per il consumatore (che invece scontano l'inflazione e il carovita). La Campania, una delle prime produttrici di ortofrutta e verdura del Paese, si muove in protesta con un po' di ritardo rispetto ad altre zone dello Stivale. Si invocano misure concrete per frenare la concorrenza dei prodotti extra-Ue. I protocolli da rispettare, per le aziende italiane, sono tra i più rigidi d'Europa e del mondo, «siamo quasi ai livelli del bio, tante sono le regole che dobbiamo rispettare», dicono. Più regole, insomma, comportano più costi. Le imprese agricole del Paese (e le campane) «sono ormai in condizioni critiche, con le spese che superano i ricavi. Questo non succede per chi produce frutta e verdura e le importa dall'extra-Ue: hanno un protocollo più lieve, e di conseguenza per loro la produzione è più economica». Purtroppo, per diverse società agricole campane i buoi sono già scappati dalla stalla. «Le aziende che hanno chiuso in regione sono già tante - dice Francesco De Luca, appena sceso dal trattore - L'inflazione ha influito su tutta la filiera. Le spese sono salite su tutto. Concimi, fitofarmaci, dipendenti. Il costo della vita è aumentato, solo i nostri prodotti si trovano allo stesso prezzo». «Siamo in presidio da settimane - aggiunge Filippo Di Marco - Il made in Italy va preservato.

Siamo qui per portare le nostre istanze al Prefetto, cui chiediamo di sottoporle poi al governo. C'è una concorrenza sleale da parta dei Paesi extra-Ue, che offrono prezzi più bassi perché non rispettano tutti i rigidi protocolli che ci vengono imposti. Noi coltiviamo a residuo zero, siamo quasi al bio, loro hanno costi molto più bassi. Tutti i giorni abbiamo perdite, tutti i giorni i costi superano i ricavi. Sui trattori ci sono i giovani, eredi dei padri, ma non riescono a sopportare i costi. Ci sarà una inevitabile crescita della disoccupazione».

 

Crescono i prezzi per il consumatore, ma i ricavi si perdono nei meandri della filiera, dei protocolli e della distribuzione. Insomma, stando agli agricoltori, a fare le spese del carovita sono i produttori dei materiali venduti e i cittadini. Il denaro finisce troppo lontano dai campi e da chi li coltiva. Per esempio, le patate. A parlarcene è Paolo Petrella, produttore agricolo di Acerra. «Il nostro problema principale è la concorrenza sleale extra-Ue - argomenta - Le aziende che arrivano da un altro continente non seguono i protocolli europei né quelli italiani, che sono i più rigidi. Sicuramente, ci sono prodotti più e meno critici, ma il problema è grave, e riguarda tutta l'ortofrutta. Le patate, per esempio, una bustina la pagate 1,50 euro ogni 100 grammi. A noi viene pagata 15 centesimi al chilo. Ci sono difficoltà oggettive che impediscono la giusta remunerazione a noi che produciamo questa materia prima. Bisogna tornare a scrivere le regole per tutti noi». «Solo la provincia di Napoli conta oggi 10mila attività agricole - spiega Vito Lombardi - Il 90% di queste rischia di chiudere. E parliamo di aziende importanti, che producono prodotti di altissima qualità che sono richiesti a livello internazionale. Siamo già in forte indebitamento, a causa delle regole europee degli ultimi 5 anni. Se le istituzioni non ci aiutano, le banche non so per quanto tempo potranno sostenerci. Stiamo parlando di aziende che lavorano prodotti importanti, famosi e richiesti in tutto il mondo. Il pomodoro del Piennolo, il San Marzano, la mela annurca e tanto altro». Ogni azienda di quelle a rischio conta almeno 3 dipendenti. Facendo una stima al ribasso, in sostanza, i posti di lavoro che rischiano di saltare, solo all'ombra del Vesuvio, sono quasi 30mila.

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Come ha detto, in un inciso rivelatore, l'imprenditore agricolo dell'Acerrano Filippo Di Marco, «per noi le regole sono quasi quelle del bio». Questa dei trattori, in sostanza, è una battaglia tra glocal e global, tra la qualità dei prodotti a chilometro zero e i numeri della grande distribuzione. Gli slogan dei cartelli appesi ai trattori parlano chiaro, in questo senso. E la situazione è già precipitata. «Incolti sarete voi non la nostra terra», «ci state privando del nostro futuro». «Salviamo l'agricoltura. La nostra fine la vostra fame», «I cavoli nostri sono cavoli vostri». I toni delle voci dei manifestanti sono alti. Sono voci di imprenditori a un passo dal dover chiudere imprese di famiglia secolari. Giovani eredi di aziende agricole e campi che non potranno proseguire la strada costruita e percorsa da genitori, nonni e trisavoli. Tutto per via degli squilibri economici del mondo diviso tra due modelli: quello del glocal, ambito dall'Ue, che porta più regole e controlli. E quello del global d'esportazione. È questo il senso degli applausi dei napoletani, che ieri hanno simpatizzato con i manifestanti al passaggio della sfilata dei trattori. Erano incuriositi dai motivi della protesta anche i turisti dei grandi alberghi del lungomare. Gli stessi che al ristorante assaggeranno stasera cibi tipici del territorio prodotti dagli agricoltori in crisi. 

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