«Da un anno in giro a fare tamponi, ora meno ansia ma più frustrazione»

«Da un anno in giro a fare tamponi, ora meno ansia ma più frustrazione»
di Melina Chiapparino
Martedì 28 Dicembre 2021, 07:42 - Ultimo agg. 16:46
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«La gente, ora, è meno preoccupata ma reagisce con maggiore frustrazione, stanchezza e rabbia alle restrizioni». Nelle parole di Chiara Nannola, medico 29enne in forza alle Usca dell'Asl Napoli 1, c'è il racconto umano ed emotivo di oltre un anno e mezzo di assistenza Covid con i tamponi a domicilio. Un racconto che traccia l'impatto della pandemia sui napoletani dall'inizio del lockdown a oggi.

Il servizio di tamponi a domicilio dell'Asl non è mai stato interrotto dall'inizio della pandemia. Come funziona oggi?
«Le Usca destinate all'assistenza a domicilio per i tamponi sono rimaste sostanzialmente le stesse ma sono le platee di pazienti che rendicontano fasi diverse della pandemia. Oggi, come un anno fa, eseguiamo tamponi molecolari e trattiamo tutte le utenze come potenziali positivi. In pratica, ci vestiamo con le tute di biocontenimento e i dispositivi di protezione prima di entrare nelle abitazioni e ci svestiamo dopo ciascun intervento, per ricominciare daccapo.

Concentriamo interventi territorialmente vicini e in media, realizziamo tra i 20 e i 30 tamponi per ciascun turno di sei ore».

Che differenze riscontrate tra l'utenza attuale e quella delle prime fasi della pandemia?
«Ci sono situazioni molto varie da gestire. Dalle persone più umili che non hanno la possibilità di fare privatamente un tampone molecolare a chi preferisce affidarsi alla sanità pubblica. In generale, c'è meno preoccupazione perché la maggior parte delle persone hanno acquisito consapevolezza e familiarità con le informazioni riguardo al Covid ma sono aumentate stanchezza e frustrazione. Spesso i pazienti mostrano aggressività e insofferenza. Molti erano convinti che il vaccino avrebbe, in qualche modo, riportato tutto alla normalità ma cerchiamo sempre di spiegare che vaccinarsi è una delle tante precauzioni da adottare».

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Ci sono aspetti positivi, rispetto al passato?
«C'è molta esasperazione ma altrettanta gratitudine. C'è meno diffidenza e più collaborazione con noi sanitari perché, in un certo senso, il Covid è entrato nella quotidianità di tutti. Prima mi chiedevano frequentemente se c'era la possibilità di arrivare nelle abitazioni con abiti comuni senza indossare la tuta di biocontenimento, cosa che ovviamente non potevo fare. Da mesi, nessuno fa più questo tipo di richiesta. Non c'è più quella sensazione di vergogna che accompagnava le persone positive anzi, spesso, i pazienti ci spiegano di aver ricevuto la telefonata dall'amico, dall'idraulico oppure dal parente che, per coscienza, gli ha comunicato la propria positività. Prima non accadeva».

Come gestite gli interventi per i No vax da tamponare?
«Dalla seconda ondata pandemica la percentuale di No Vax, è aumentata notevolmente. L'approccio Usca è lo stesso per tutti gli interventi perché l'importante è prestare la nostra assistenza a chiunque, indistintamente. C'è da sottolineare che, per noi, la comunicazione è tempo di cura per cui informiamo sempre le persone sui vaccini e sulle modalità di somministrazione. Devo ammettere che c'è anche una quota di pentiti. Si tratta di persone che tamponiamo e che assistiamo da non vaccinati e che, subito dopo la negativizzazione, decidono di vaccinarsi».

C'è qualche episodio che l'ha segnata particolarmente?
«Ricordo con affetto una famiglia con bimbi piccoli, in attesa trepidante del tampone di negativizzazione per potersi ricongiungere con il papà malato e un altro episodio di una nonna che aspettava il tampone di controllo per conoscere la nipotina appena nata per cui aveva persino tinto i capelli di rosa. Ci sono state anche brutte esperienze di prepotenza nei nostri confronti, da persone che pretendevano tamponi a cui non avevano diritto».

Ha mai avuto paura di essere contagiata?
«Lavorare con le Usca mette a dura prova la mente e il fisico. Sicuramente c'è stato e c'è un carico emotivo e psicologico che però viene ripagato dai sorrisi delle persone che assistiamo. La sensazione di aiutare chi sta affrontando una difficoltà è impagabile e, a dire la verità, non ho mai temuto per la mia salute. Quello di cui ho paura, è diventare un vettore e infettare i miei familiari o le persone a me più vicino ma facciamo la massima attenzione, anche per questo».

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