«Vaccini, dosi anche agli ultimi; pronti ad aprire le chiese»: l'appello del vescovo Di Donna

«Vaccini, dosi anche agli ultimi; pronti ad aprire le chiese»: l'appello del vescovo Di Donna
di Pietro Perone
Domenica 14 Marzo 2021, 10:34 - Ultimo agg. 14:34
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Al posto del cardinale Crescenzio Sepe che per 14 anni è stato presidente della Conferenza episcopale campana: monsignor Antonio Di Donna dallo scorso 26 gennaio guida la Chiesa della principale regione del Sud nel pieno dell'emergenza sanitaria e sociale. Mesi di paura, scanditi da inquietudini, un po' come quando negli anni Ottanta la camorra seminava morte per le strade a colpi di agguati. All'epoca la Conferenza scrisse una lettera dal titolo Per amore del mio popolo non tacerò e fu quello uno dei segnali da cui nacque la rivolta degli studenti contro la criminalità.


Oggi invece l'Istat ha calcolato un milione di persone in più che versano nella povertà assoluta, al Sud il fenomeno è più diffuso mentre la pandemia non accenna ad arretrare, anzi. Cosa fa la Chiesa?
«L'emergenza sanitaria ha acuito le disuguaglianze sociali ed economiche già esistenti, riducendo in povertà nuove categorie che prima della pandemia non erano considerate a rischio, come ad esempio quelle legate alla ristorazione. L'emergenza sanitaria ha fatto ulteriormente deflagrare il sistema di protezione sociale, evidenziando ulteriormente le lacune delle politiche di welfare nel nostro Paese. Oggi i poveri sono soprattutto i cinquantenni disoccupati, le madri sole, i padri separati, i pensionati. Inoltre la pandemia ha acuito la solitudine esistenziale di tantissimi, perfino dei giovani. In questo periodo le nostre Caritas hanno assistito una marea di invisibili che decine di ordinanze e decreti non hanno nemmeno sfiorato: chi non ha una casa e quindi non poteva restare a casa; chi non ha gli strumenti per interpretare norme e indirizzi sanitari; chi non sa compilare un modulo, chi non ha una connessione in casa, chi associa tre componenti letali: disagio economico, solitudine e disagio psichico. I servizi pubblici spesso risultano in difficoltà, motivo per cui la pressione sulle nostre Caritas è altissima. Non ci sottraiamo. La situazione, però, è preoccupante: le Caritas sono sole, con volontari impagabili ma impauriti. Sole e senza risorse sufficienti. La Caritas Campania può essere un interlocutore privilegiato per la Regione, aiutarla a strutturare interventi di sostegno che includano tutti, anche gli invisibili. Detto questo, mi chiedo: la Chiesa è solo questo in tempo di pandemia? In una società che riduce la questione alla sola dimensione sanitaria o sociale, la Chiesa non ha più niente da dire o da fare? Io penso di no. Il nostro compito è quello di offrire un supplemento d'anima, dare un orientamento, indicare una rotta, una luce in questa notte che è scesa su di noi».

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C'è il rischio, specie al Sud, che ampi settori della popolazione restino esclusi dall'immunizzazione ancora per molto tempo: gli ultimi, chi vive in piccoli e sperduti comuni, gli anziani senza assistenza. Le parrocchie, già punto di riferimento per l'assistenza, possono diventare centri vaccinali?
«Papa Francesco più volte ha chiesto che nessuno resti indietro e che i vaccini siano per tutti.

C'è il rischio che, specialmente nel Mezzogiorno, ampie fasce della popolazione restino escluse ancora per molto tempo. Si faccia presto e si arrivi ad una vaccinazione di massa che oggi appare l'unico modo per far ripartire il tutto. Ovviamente la Chiesa, come già sta facendo per l'assistenza, è disponibile ad offrire le sue strutture per giungere a questo obiettivo».


Gli aiuti economici messi in campo dai governi sono serviti ad evitare rivolte sociali, ma a Napoli non sono mancate tensioni mentre le proteste delle diverse categorie sono ormai quotidiane. La politica deve fare di più?
«Bisogna dare atto che il Governo ha messo in campo molti aiuti economici che sono serviti da veri ammortizzatori sociali. Ma essi si stanno rivelando purtroppo insufficienti, senza considerare che tali aiuti non sempre sono arrivati a destinazione. Penso, ad esempio, alla cassa integrazione. Lentezza della burocrazia o altro? Inoltre, l'erogazione di sussidi hanno favorito anche una certa ingiustizia: magari c'è chi percepisce il reddito di cittadinanza senza lavorare e chi invece con un lavoro regolare è costretto a chiudere. Invece di disperdersi in sussidi e bonus, forse occorrerebbe sostenere le aziende, permettere loro di dare lavoro e, ovviamente, poi verificare che lo facciano. Il vero obiettivo è creare lavoro, condizione fondamentale della dignità e del benessere. Che futuro avremo quando più della metà dei giovani sarà senza lavoro? Un popolo non può vivere di assistenzialismo».


Nel deserto produttivo che contraddistingue ormai il Sud, lo sblocco dei licenziamenti potrebbe rappresentare la mazzata finale, ma fino a quando si potrà tenere l'economia bloccata? 
«Lo sblocco dei licenziamenti, che continuamente viene paventato, sarebbe una vera iattura. Non deve accadere. Questa pandemia ha messo alla prova non solo le singole persone ma interi popoli. Penso ai Governi che devono prendere decisioni: che cos'è più importante, preoccuparsi della gente o tenere in moto il sistema economico? Sospendiamo il meccanismo che genera ricchezza, consapevoli che le persone ne saranno danneggiate pur di salvare vite?».


Facile dire stop a tutto, compreso gli sfratti, senza un orizzonte da costruire.
«È vero: è facile chiudere, dire stop a tutto senza un orizzonte da costruire. Ed è proprio questo orizzonte da costruire che dovrebbe essere l'obiettivo primario. La verità è che si tratta, in definitiva, di cambiare modello di sviluppo globale e il problema è che non disponiamo ancora della cultura necessaria per affrontare questa crisi e c'è bisogno di costruire leadership che indichino strade. Papa Francesco dice spesso che noi non viviamo un'epoca di cambiamento quanto un cambiamento d'epoca. Occorre una visione unitaria, perché tutto è connesso. Non esistono una crisi sanitaria, un'altra sociale, un'altra ambientale. Tutto si tiene. Le sfide economiche, sociali e ambientali che abbiamo davanti sono facce diverse della stessa crisi. Esse dovranno avere una soluzione comune».


Da vescovo di Acerra è in prima fila nella lotta contro il disastro ambientale che ora rischia di passare in secondo piano rispetto alla tragedia che viviamo da un anno. Teme che la battaglia per ridare una speranza di vita a queste terre, cosiddette dei fuochi, possa finire nell'oblio?
«Ho più volte denunciato che l'emergenza ambientale rischia di passare in secondo piano rispetto alla tragedia che viviamo. Non si parla più di bonifiche, di roghi tossici, di qualità dell'aria; non si parla più di registro dei tumori, di cure. Ormai ci si ammala e si muore solo di Covid. Eppure, la pandemia che stiamo vivendo è causata e amplificata proprio dall'ambiente maltrattato. Qualche negazionista potrebbe pensare alla solita esagerazione ma non è così. Dobbiamo renderci conto che le pandemie sono un capitolo della crisi ambientale e che è da qui che bisogna partire per costruire un domani accettabile. Virologi e quanti altri indicano la vaccinazione di massa come antidoto ed hanno ragione, bisogna vaccinarsi. Ma non basta, perché è vero che i vaccini hanno salvato l'umanità dalle pandemie, sono benedetti, ma non rimuovono le cause remote del problema, la salute del pianeta. Il recente studio epidemiologico commissionato dalla Procura della Repubblica di Napoli Nord, e realizzato con la collaborazione scientifica dell'Istituto Superiore di Sanità, ha nettamente evidenziato il nesso di causalità tra siti di rifiuti e insorgenza di patologie tumorali. Noi vescovi riteniamo questo rapporto di particolare importanza. Esso conferma in maniera scientifica ed ufficiale quanto la popolazione intuiva da tempo. Basta! Si ascolti il grido della terra e il grido dei poveri e finalmente si prendano quei provvedimenti che lo stesso Rapporto indica e in particolare va bloccata qualsiasi attività illecita e non controllata di smaltimento di rifiuti. È proprio di questi giorni la notizia che la Regione Campania ha autorizzato un progetto ad Acerra di produzione di biometano che tratterà 81mila tonnellate di rifiuti all'anno. Per non parlare poi della ricorrente ipotesi di una quarta linea dell'inceneritore».


Il Papa le assicurò che sarebbe venuto ad Acerra e l'ha ribadito qualche mese fa durante l'Angelus. Lei crede ancora che la visita ci sarà?
«Il Papa verrà, l'ha promesso più volte, appena la pandemia sarà cessata. Verrà a visitare tutta la popolazione della cosiddetta Terra dei fuochi. Acerra sarà il luogo simbolo di tutte le terre dei fuochi che sono in Italia, perché, come non mi stanco mai di affermare, Terra dei fuochi non è un luogo ma un fenomeno. La sua visita sarà uno scossone, non per accentuare l'immagine negativa di Acerra, ma per incoraggiare, e, diciamolo pure, per essere stati i primi ad aver sollevato il dramma umanitario dell'inquinamento ambientale. La sua visita ci darà speranza e contribuirà a non far spegnere i riflettori sulla custodia della casa comune, secondo gli insegnamenti dell'Enciclica Laudato si'».


A capo dei vescovi campani, dopo il cardinale Sepe, e vescovo della Diocesi che fu anche di don Riboldi: due eredità importanti che hanno segnato la storia della Chiesa in Campania. La sfida è riuscire a tenere insieme gli esempi di queste due Chiese o forse il momento storico richiede anche altro?
«Il Cardinale Sepe per 14 anni è stato il Presidente dalla Conferenza Episcopale Campana e ha dato il suo contributo perché tutte le 25 Diocesi della Campania camminassero insieme annunciando il Vangelo in questo amato territorio. Ora i vescovi della Campania hanno voluto dare fiducia al vescovo di Acerra. Io raccolgo il testimone e, con l'aiuto dei miei fratelli, cercheremo di camminare ancora in questo momento storico che certamente richiede anche altro».

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