Violenza sulle donne, a Napoli è record di denunce: «In 10 mesi 571 casi»

I dati dei centri antiviolenza: trend in crescita dopo la crisi del Covid

Violenza sulle donne
Violenza sulle donne
Leandro Del Gaudiodi Leandro Del Gaudio
Giovedì 23 Novembre 2023, 23:54 - Ultimo agg. 25 Novembre, 07:30
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In dieci mesi 571 donne si sono rivolte ai centri antiviolenza del Comune di Napoli. Un numero in crescita rispetto all’anno precedente e che va sempre e comunque ricondotto alla stagione post covid, che - facile a dirsi - ha alimentato le criticità all’interno di contesti familiari a rischio. Nei giorni dedicati alla riflessione sulla violenza delle donne, i dati dei cinque centri antiviolenza (uno per ogni due municipalità) sono la conferma di una deriva: cresce il numero di episodi di vessazione fisica e psicologica nei confronti delle donne, ma si è anche rafforzata la convinzione dell’importanza della denuncia. Più episodi di violenza, ma anche maggiore consapevolezza dell’importanza di rivolgersi ai presìdi territoriali attrezzati dal Comune sul territorio cittadino.

Ma restiamo ai dati in generale, alla luce del lavoro svolto dalle associazioni che gestiscono i cinque cav territoriali. C’è un altro dato allarmante, che assegna a Napoli una sorta di record nazionale: quello della dipendenza economica. Al di là del dato numerico, qui a Napoli c’è una maggiore condizione di assoggettamento economico delle donne rispetto agli uomini, uno status che ovviamente rende sempre più improbabile la decisione di rivolgersi alle istituzioni per denunciare eventuali episodi di maltrattamento. 

Ma andiamo con ordine, a cominciare dalle cifre frutto del lavoro delle associazioni che gestiscono i cav (Dedalus, Arci donna Napoli, Associazione Maddalena, Associazione le Cassandre, Salute donna, Dream team): dati recenti, in quanto relativi al periodo che va da dicembre 2022 a ottobre 2023; sono 571 le donne che si sono rivolte ai cinque cav in soli dieci mesi, in una media di due segnalazioni al giorno. Un dato che va calato in un contesto complesso, a proposito di violenza nei confronti delle cosiddette fasce deboli, come emerge dal bilancio emerso dal lavoro in Procura del pool coordinato dal procuratore aggiunto Raffaello Falcone.

Stando ai numeri degli inquirenti partenopei, ci troviamo di fronte a una media di una ventina di denunce al giorno, vale a dire una mole di fascicoli contro noti e una ristretta parte di denunce contro soggetti non ancora identificati. È evidente che le segnalazioni a cui fanno riferimento i cav sono solo una parte del fenomeno legato alla violenza contro le donne e vanno comunque armonizzate con il lavoro condotto nelle Procure, all’indomani dell’entrata in vigore del cosiddetto codice rosso. Uno scenario che conviene comunque approfondire, alla luce dell’esperienza delle operatrici in campo nelle cinque aree geografiche in cui è suddiviso il territorio cittadino. Irrinunciabile un approfondimento sulla cosiddetta violenza economica, sfondo domestico nel quale vengono consumati episodi estemporanei di azioni fisiche o psicologiche, che è ben rappresentato dai numeri. 

Partiamo dal dato nazionale: secondo l’ultimo rapporto Istat, relativo al 2022, sono più di 20mila le donne che si sono rivolte ai cav. Di queste, una su tre è a reddito zero (32,9%) e meno del 40% può contare su un reddito sicuro. La forma più frequente di abusi subìta è quella psicologica (77,3%), mentre almeno una donna su tre (33,4%) subisce violenza economica. A Napoli, la mancanza di lavoro è maggiormente sentita: su 571 donne che si sono rivolte ai cinque cav di Napoli, il 45 per cento di esse non è occupato; il 94% dichiara di aver subìto violenza psicologica, mentre il 49% è stata vittima di violenza economica. 

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Spiega Tania Castelluccio, operatrice di Dedalus: «Oltre a garantire assistenza in ambito legale e psicologico, bisogna intervenire per garantire autonomia economica. In alcuni casi, la crisi occupazionale di questi anni ha addirittura rafforzato i cosiddetti stereotipi di genere, dal momento che ci sono donne che rinunciano alla ricerca di lavoro. Servono progetti strutturali di politiche attive, primo passo per dare una risposta immediata a chi subisce vessazioni fisiche e psicologiche o avverte il rischio di vivere in una condizione di assoggettamento».

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