​Volontario napoletano morto in Colombia, ecco tutti i silenzi dallo staff dell’Onu su Paciolla

Volontario napoletano morto in Colombia, ecco tutti i silenzi dallo staff dell’Onu su Paciolla
di Valentino Di Giacomo
Lunedì 31 Agosto 2020, 23:30 - Ultimo agg. 1 Settembre, 11:38
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Il Palazzo di Vetro dell’Onu sembra macchiato di sangue. Una fitta cortina di silenzi copre da oltre un mese la ricerca della verità sulla morte di Mario Paciolla. Una coltre di reticenze e incongruenze che infittisce sempre di più il mistero sulle circostanze che hanno portato alla tragica fine del 33enne cooperante napoletano che lavorava alla Missione dell’Onu in Colombia. A riconoscere che ci sia qualcosa di anomalo nelle indagini è stata ieri anche la Rappresentante italiana alle Nazioni Unite, l’ambasciatrice Mariangela Zappia. «Purtroppo – ha ammesso nell’intervista rilasciata a Il Mattino l’emissaria della Farnesina - stiamo cercando di verificare rapidamente la posizione di alcuni membri dello staff in Colombia, ma ancora non si sono resi disponibili ad essere interrogati dalla magistratura colombiana». Parole che assumono un significato ancor più inquietante se a pronunciarle è la massima autorità italiana nel consesso delle Nazioni Unite. Perché il silenzio?

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Su tutti spicca il nome di Christian Leonardo Thompson, un contractor americano al quale le Nazioni Unite avevano affidato il compito di sorvegliare sulla sicurezza della missione a cui partecipava Paciolla. Una persona, Thompson, della quale Mario doveva comunque fidarsi se – da quanto emerge dalle risultanze raccolte dal Reparto per le Operazioni Speciali dell’Arma, attivati dalla procura di Roma – il giovane napoletano aveva telefonato proprio al contractor per annunciargli la sera prima della sua morte l’intenzione di lasciare il Paese e rientrare in Italia. Un personaggio-chiave l’americano perché è lui lo scorso 15 luglio a ritrovare il cadavere di Mario. Sempre lui, Thompson – secondo le ricostruzioni degli inquirenti italiani – che quel giorno, con la complicità di quattro poliziotti colombiani (ora sotto inchiesta) avrebbe “ripulito” di alcune tracce l’appartamento di Mario e fatto lavare con candeggina alcuni punti della casa. Pc e smartphone di Paciolla sarebbero stati gettati in una discarica, ma sulle indagini in corso c’è il massimo riserbo da parte delle autorità italiane, che ora non rivelano se i dispositivi del giovane napoletano siano stati recuperati. 

 


«Mario non si è suicidato: è stato ucciso» ribadiscono i genitori che sono stati i primi a parlare di omicidio e a chiedere che venissero aperte nuove indagini. Del resto la scena del crimine appare ricca di incongruenze. Si era parlato di un presunto suicidio, ma nell’appartamento non c’erano lame in grado di produrre le ferite ai polsi ritrovati sul corpo di Mario tra gli oggetti registrati sulla scena del crimine. Paciolla sarebbe dovuto partire per la capitale Bogotà poco tempo dopo il suo ultimo accesso su Whatsapp, poche ore dopo il ritrovamento del suo cadavere. Il 20 luglio si sarebbe dovuto imbarcare per tornare in Italia. Secondo la madre era preoccupato per qualcosa di «sporco» con cui era entrato in contatto e aveva avuto un diverbio con i superiori dell’Onu. Quegli stessi superiori delle Nazioni Unite che ora – come testimonia pure la nostra ambasciatrice al Palazzo di Vetro – non hanno intenzione di farsi interrogare e collaborare alle indagini. Anzi, sin da subito, come testimoniato dall’amica giornalista di Mario, la colombiana Claudia Duque – la stessa che ha rivelato delle tensioni tra Paciolla e lo staff dell’Onu – le Nazioni Unite hanno sollecitato il silenzio dei propri operatori sul posto. Durante i quattro giorni successivi alla morte, la direzione della Missione a Bogotá – secondo Duque - ha inviato tre mail nelle quali ha ricordato ai suoi 400 funzionari e operatori nazionali e internazionali l’obbligo di mantenere la riservatezza e il divieto di concedere interviste e dichiarazioni ai media. Ora, però, oltre a non parlare con la stampa, gli operatori non stanno collaborando neppure con gli inquirenti. 

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Cos’era successo da far sentire «sporco» Mario? Che genere di screzi aveva avuto con i colleghi e il personale delle Nazioni Unite in Colombia? Quali affari loschi aveva scoperto Mario in un Paese martoriato dal traffico di coca e dai gruppi eversivi armati? Che la missione alla quale partecipava Mario fosse delicata lo ha testimoniato la stessa ambasciatrice Zappia. «La Missione – ha spiegato ieri l’ambasciatrice - prevede la reintegrazione politica e socioeconomica degli ex combattenti delle Farc. Si tratta di una delle dimensioni attuative del progetto più complesse». La famiglia di Mario, ora, vorrebbe solo sapere in quali segreti si sia addentrato il loro congiunto. Ma per saperlo, chi sa, dovrebbe cominciare a parlare.

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