Sanità a Napoli, Iervolino: «Sì agli stipendi più alti per i medici in trincea»

Parla la manager dell'Azienda dei Colli

Anna Iervolino
Anna Iervolino
di Ettore Mautone
Lunedì 21 Agosto 2023, 10:38
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Emergenza Sanità: dopo i reportage, le inchieste, i commenti, le interviste e gli approfondimenti con i manager delle strutture napoletane, incentrati sul caos nei pronto soccorso, spia di un malessere profondo e strutturale della Sanità non soltanto campana ma dell'intero Paese, tocca ad Anna Iervolino, direttore generale dell'azienda dei Colli (che comprende Monaldi, Cotugno e Cto) dire la sua sul governo della Salute rispetto ai nodi irrisolti degli iperafflussi dei pazienti in acuzie ma anche dei malati cronici e a bassa urgenza che intasano le prime linee degli ospedali sempre più sguarniti di camici bianchi a fronte di un territorio che la pandemia ha contribuito a disarticolare e desertificare e oggi da rifondare non solo con i fondi del Pnrr ma anche con una visione organizzativa tutta da costruire.

Dottoressa Iervolino, a Napoli a partire dal Cardarelli ma anche gli altri presidi, i pronto soccorso sono eternamente affollati e quasi inagibili. Come si interviene?
«L' azienda dei Colli è articolata in tre presidi ospedalieri e con essi contribuisce attivamente alla gestione delle emergenze cittadine.

Il Cto ha registrato nell'ultimo periodo di agosto una media di 107 accessi al giorno, più di 2000 dal 1 al 19 agosto, di cui quasi il 40% urgenti e complessi (codici gialli e rossi) e il resto codici verdi e qualche bianco. Le percentuali di codici a maggiore urgenza sono maggiori rispetto alla media di altri ospedali cittadini. Questo qualifica il nostro lavoro e ci permettere di dare un contributo sostanziale alla rete dell'emergenza e urgenza. Le Ortopedie stanno lavorando a pieno ritmo e le sedute operatorie, soprattutto per le fratture femore negli over 65, sono garantite nei tempi giusti nonostante il personale sia ridotto».

Avete carenze di personale?
«I concorsi che siamo riusciti ad espletare per tempo per reclutare i medici dell'urgenza necessari ci hanno consentito la copertura di tutti i turni in pronto soccorso anche in questo periodo estivo».

Da voi i concorsi non vanno deserti come capita nella Asl?
«Abbiamo adottato un modello organizzativo che rende più attrattivo lavorare nelle nostre strutture. Prevede che i medici di Medicina di urgenza ruotino tra il reparto di medicina d'urgenza, il pronto soccorso e l'Obi (Osservazione breve intensiva), ciò al fine di garantire la continuità delle cure e la presa in carico globale del paziente».

La vostra articolazione su tre poli facilita questa routine ma il problema strutturale per i grandi pronto soccorso resta.
«Ritengo, in proposito, che sia giusto rivendicare, per i medici e per quanti lavorano in sanità, maggiori riconoscimenti stipendiali, che tengano conto della specificità e rilevanza della funzione che svolgono ma il tema della gratificazione professionale è ugualmente fondamentale per trattenere i giovani formati e appassionarli alla professione. Il notevole afflusso di pazienti al pronto soccorso che si avverte anche da noi è gestito con il trasferimento continuo e veloce anche presso i reparti di specialistici che abbiamo al Monaldi e al Cotugno. Ciò consente di realizzare un reale filtro ai ricoveri e un attento turn over con dimissioni veloci, favorite da una presa in carico dei pazienti che dopo le dimissioni sono seguiti in regime ambulatoriale o day hospital e finanche al domicilio con strumenti di telemedicina».

La medicina di urgenza resta un nervo scoperto in Campania ma anche in altre regioni: tanti pazienti e pochi medici.
«Un problema di fondo che accomuna tutte le strutture di urgenza da nord a sud per lo scarso appeal della specialità della Medicina di urgenza e di conseguenza la carenza di queste specifiche figure. L'elevato numero di codici verdi in prima linea testimonia la mancanza di riferimenti di cura per i pazienti sul territorio. Un fenomeno che conosciamo e che si accentua nel periodo festivo».

Che fare?
«Bisogna aprire nuovi pronto soccorso in città ma non per la mera afferenza alle reti infarto, stroke e trauma perché non risolve l'eccessivo afflusso di pazienti con mezzi propri. Serve inoltre un nuovo approccio organizzativo che favorisca la continuità di cure e l'integrazione tra ospedale e territorio».

Chi deve intervenire?
«Sono problemi complessi che per gran parte derivano dalla programmazione nazionale che ha ad esempio stabilito per le regioni in piano di rientro che il personale debba essere quello del 2004 meno l'1,4 per cento. Così anche per la formazione e reclutamento dei nuovi medici. Le regioni del sud in generale e la Campania in particolare, scontano poi la più bassa quota di accesso procapite al fondo sanitario nazionale che dal 2005 ha sottratto una media di 250-300 milioni l'anno, fondi con cui si sarebbe potuto riqualificare la rete assistenziale riassorbendo la migrazione sanitaria. La Campania sta facendo il massimo possibile con le condizioni date».

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