Techagriculture, Italia e Israele a Napoli per l'innovazione tecnologica in agricoltura

Techagriculture, Italia e Israele a Napoli per l'innovazione tecnologica in agricoltura
di Emiliano Caliendo
Martedì 17 Maggio 2022, 14:17 - Ultimo agg. 15:09
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Il mondo è sull’orlo di una crisi alimentare globale. Una situazione aggravata, ovviamente, dalla guerra tra Russia e Ucraina. Quindi, il meeting tra Italia e Israele dedicato all’innovazione tecnologica applicata all’agricoltura, denominato «Techagriculture, l’agricoltura incontra l’innovazione», tenutosi presso il polo tecnologico dell'Università Federico II a San Giovanni a Teduccio, è servito proprio a offrire soluzioni alle attuali problematiche del settore agroalimentare. Aumento vertiginoso dei prezzi delle materie prime agricole, blocchi dell’export d'interi paesi, rischi di carestia specialmente tra gli Stati importatori come quelli africani, oltre che il blocco dei porti ucraini da parte della Federazione Russa, queste solo alcune delle sfide principali. Il focus dell’iniziativa del 17 e il 18 maggio, che vede come sede dell’evento la città di Napoli, è promuovere il trasferimento di conoscenze e della diffusione delle innovazioni in agricoltura, la sinergia tra il settore primario e il mondo della ricerca e della tecnologia avanzata, di cui Israele è protagonista a livello globale.

Entusiasta il commento dell’Ambasciatore d’Israele in Italia Dror Eydar. «Siamo lieti di essere qui. È un sogno che si realizza davanti ai nostri occhi. Pensavamo a questa conferenza due anni e mezzo fa, quando abbiamo visto i risultati della Cybertech Europe a Roma. Chiesi quindi a Confagricoltura di fare una conferenza simile sui temi dell’agricoltura, delle fattorie digitali, dell’acqua, della botanica, del cibo, dell’energia. Argomenti a cui la gente o i media generalmente non pensano e che costituiscono la base della nostra esistenza». «La pandemia – prosegue il diplomatico - ha bloccato questa iniziativa per due anni. Sei mesi fa l’abbiamo rilanciata. Non pensavamo in quel momento alla crisi tra Russia e Ucraina, che ha provocato una crisi alimentare globale». L’export da Israele all’Italia nel settore agroalimentare è aumentato del 24% nell’ultimo anno, per un ammontare di 65,7 milioni di dollari. Quanto all’import dall’Italia, quest’ultimo ha raggiunto 375,8 milioni di dollari, con un incremento notevole dell’esportazione israeliana di oli e grassi vegetali e animali. Il diplomatico israeliano è ben conscio quindi delle grandi prospettive di cooperazione bilaterale, da ampliare a tecnologie come il monitoraggio delle colture attraverso i sensori, l’automazione della attività agricole, l’agrovoltaico, la gestione dei sistemi di filiera, il trattamento delle acque. «Abbiamo portato qui – sottolinea Eydar - tante aziende israeliane con la tecnologia più avanzata al mondo, che vogliamo condividere con i nostri amici in Italia.

Sulla desertificazione, fenomeno a cui stiamo assistendo sia in Europa che in Italia, possiamo dirvi che Israele nonostante abbia due terzi del suo territorio desertificato, è riuscita a farlo fiorire». «Israele – aggiunge - ricicla il 90% delle sue acque. Sono tutte conoscenze che possiamo condividere con voi. Come Ambasciata con Confagricoltura, l’Università Federico II, il Comune e Ministero degli affari esteri, siamo riusciti a realizzare questo sogno. Speriamo di avere buoni risultati».

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Soddisfatto anche il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti. «Questo ponte che oggi parte da Napoli e raggiunge Tel Aviv non è un ponte che unisce due zone di produzione e due modelli agricoli, ma è un ponte che vuole unire tutta l’area mediterranea. Dall’unione d’Italia e Israele vogliamo dare oggi un segnale all’area mediterranea. I due paesi, unendo le loro tecnologie in un momento così difficile, dimostrano che l’agricoltura può produrre di più preservando le risorse naturali e rispondendo alla domanda di sostenibilità, in un momento in cui la crisi alimentare è drammatica». Giansanti però traccia un quadro del settore nazionale che desta diverse preoccupazioni, specialmente se si pensa all’impennata dei prezzi. L’Italia, infatti, importa il 62% del suo fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti, il 35% del grano duro per la pasta e il 46% del mais necessario per produrre il mangime per il bestiame. Se a ciò si somma il fatto che il frumento, in particolare quello duro, «ha raggiunto il picco di prezzo massimo della sua storia» con 500 euro circa a tonnellata, occorre prendere quanto prima contromisure, soprattutto a livello di Unione Europea. «Noi produciamo la quantità di grano che ci serve per fare la pasta – puntualizza Giansanti - non produciamo quella parte di grano che serve per fare il pane. Sono state fatte scelte politiche in Europa che nel corso degli anni che ci hanno portato a produrre sempre di meno. Si tratta di scelte di programmazione fatte ogni cinque anni. Se osserviamo il grafico delle produzioni e quando queste sono scese, mi riferisco alle produzioni di mais e grano tenero, si vede che ogni cinque anni, a seguito di ogni scelta politica, diminuisce la produzione a livello europeo di questi cereali. Si è forse ritenuto farla in altre parti del mondo, fatto sta che abbiamo fatto un errore».

Sul tema è intervenuto anche il ministro dell’agricoltura Stefano Patuanelli, ospite del meeting: «Ci sono fenomeni speculativi in atto. Il vero errore dell’Europa è stato quello di non garantire la trasparenza dei mercati e non garantire una capacità di valutazione degli stoccaggi. Quando si parla oggi di carenza di materia prima, ricordo che stiamo vendendo il grano raccolto l’anno scorso, non quest’anno. Non c’è un problema di quantità, il problema del prezzo è legato a fenomeni speculativi». Il presidente degli agricoltori italiani Giansanti ricorda tuttavia che «importiamo mais e frumento dalla Francia, pagandolo di più». Un arretramento per il nostro Paese dopo «stagioni in cui veniva incentivata la produzione agricola per rispondere all’esigenza primaria di produrre ciò che serve». C’è dunque un’accusa a Bruxelles: «A un certo punto – rimarca Giansanti - si è deciso che l’agricoltura europea dovesse produrre meno e si è passati dalle eccedenze alla carenza. Siamo passati dal concetto per cui l’agricoltura andava aiutata per produrre, a un modello in cui bisogna aiutare l’agricoltura a non produrre. Il legislatore europeo ritiene che l’agricoltura europea debba tutelare le aree ambientali senza guardare alla parte produttiva. Se immaginassimo un mondo perfetto questo avrebbe anche senso, poi una mattina ci accorgiamo di non avere il grano tenero». «Noi oggi a livello di grano tenero siamo il 4% della produzione europea. Se dovessimo andare all’autosufficienza per produrre il pane, dovremmo scegliere se fare il grano tenero o il grano duro per la pasta. Tutto si può riorganizzare ma dobbiamo modificare le politiche europee, troppo spostate sulla non produzione. Non possiamo continuare a coltivare quello che il mercato non chiede. Dobbiamo invece tornare a coltivare mais, grano, soia». Per cui Giansanti ricorda quanto sia importante la collaborazione tra Italia e Israele «che non nasce solo per acquisire il know-how israeliano». «Ci sono aziende italiane – conclude - che possono dimostrare agli amici d'Israele, quanto abbiamo implementato in termini di ricerca e sviluppo. Siamo passati da 300 milioni d'investimento a 2 miliardi. Presenteremo il caso di una vertical farm alle porte di Milano, costruita in ambiente controllato, un unicum a livello mondiale».

Si dovrà dunque investire di più in tecnologie. La scelta di Napoli per una conferenza di questo rilievo non è dunque casuale. La città, infatti, ospiterà «il centro nazionale di ricerca Agritech, finanziato grazie al Pnrr», ricorda il sindaco Gaetano Manfredi a margine dei vari tavoli tematici. Grande protagonismo anche dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, come evidenzia il rettore Matteo Lorito: «L’Università di Napoli può fornire le intelligenze e le tecnologie. Può scambiare le tecnologie, avvicinando ancora di più i Paesi. Ci avviamo a svolgere un ruolo importantissimo con più di 400 milioni di euro. Sarà come Human Technopole dedicato all’agricoltura. Nuove tecnologie significa meno dipendenza dall’estero sulle materie prime». Hanno partecipato al Techagriculture anche il ministro per il Sud Mara Carfagna e il ministro degli esteri Luigi Di Maio, quest’ultimo in partenza verso New York per un panel alle Nazioni Unite sulla foodsecurity.

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